Perse la scommessa per dimostrare a tutti la sua superiorità sulla moglie
Pietro Pensa, Perse la scommessa per dimostrare a tutti la sua superiorità sulla moglie in L'Ordine, 24.11.1978.
I termini dialettali contenuti nell'esposizione sono quelli impiegati cinquant'anni orsono nei paesi più interni della nostra montagna, dove il limitato contatto con l'esterno aveva lasciato ancora genuino il linguaggio parlato dalla nostra gente.
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La famiglia
È opinione diffusa che le famiglie dei nostri villaggi montani fossero numerose. Diciamo «montani», ma vogliamo in tale in tale appellativo comprendere tutti i paesi del Larìo: sia ben chiaro, infatti, che il territorio del lago è squisitamente montano e che anche i borghi della riva, se oggi hanno perduto il loro primitivo carattere, investiti come sono da industria e turismo, un tempo avevano la loro attività appoggiata unto all'acqua quanto al ripido retroterra, sbordando coi loro confini addirittura nelle valli interne dove possedevano vasti lembi di pascoli e di boschi. Non è senza un profondo significato storico, di carattere socio-economico, il fatto che sino al 1700 molti gruppi di villaggi, individuati poi con il proprio toponimo, erano indicati nel loro insieme come «monti» del sottostante borgo a lago, e «monte» aveva anticamente il significato di luogo di alpeggio.
Nel ritenere che i fuochi, così si chiamavano le unità familiari, contassero molti individui si erra fortemente. Da indagini dame compilate su stati d'anime o censimenti parrocchiali, dal 1500 a tutto il 1800, sia per località di qua che di là del lago, ho potuto concludere che il numero medio dei componenti di una famiglia si aggirò quasi costantemente sulle cinque unità, con punte sino agli 8-12 nelle casate più ricche.
Interessante notare come le oscillazioni dell'economia abbiano sempre influito sull'andamento demografico, condizionato, peraltro, anche dal tasso altissimo della mortalità infantile.
Il padre
La podestà paterna era assoluta e tale rimase sino al primo decennio di questo secolo nei paesi più interni, conservando, vorrei dire, tutti i crismi che le venivano dalle antiche leggi. Nella' traduzione cinquecentesca in lingua volgare degli statuti di una grossa comunità valliva in vigore sino al secolo scorso, è decretato questo capitolo: Il padre possi corregere il figliolo con le mani, overo con correggia o bastone, mentre lo faccia moderatamente, non rompendo gli ossi ne bracci. Nel medesimo modo il marito può battere la moglie, avendo in essa corporal podestà, ma non con crudeltà, debilitando qualche membro..., e non la ferisca.
La podestà del padre derivava, per antichissima tradizione, dal fatto che egli era capo del fuoco o focolare domestico; titolare quindi, come tale, dei diritti ai beni comuni, pascoli e boschi, che rappresentavano, quali complemento del modesto possesso privato di casa, prati e campi, la risorsa della famiglia. Per sottolineare meglio il significato di tale fattore, preciso di aver trovato, in atti notarili di consigli di vicinanza, cioè delle riunioni deliberanti a cui partecipavano con diritto di voto i soli capi famiglia, elencate alcune donne, capo di casa esse pure perchè rimaste vedove.
Quando il padre, invecchiato e non più chiaro di intelletto, su pressione dei figli rinunciava ai suoi diritti, in loro favore, la podestà paterna, nonostante le promesse fattegli, gli veniva a mancare rapidamente ed egli, incauto o generoso, era presto messo in disparte. Ne ricordo alcuni casi, a cui assistetti da ragazzo, divenuti ragione di commiserazione tra i compaesani, che, scuotendo la testa, commentavano come mai e poi mai si dovesse rinunciare ai propri diritti prima della morte.
Simili casi, peraltro, avvennero in ogni tempo. Lessi questa annotazione di un parroco, in una lettera inviata a San Carlo Borromeo: Ser Piero Calgherolo, valente de facultà, e ora poverissimo per aver dato le sue possessioni ai figli acciocché gli pagassero il fitto e non lo pagano e non sovvengono al famelico padre.
Se nella conduzione familiare l'autorità paterna era fuori discussione, si notavano, però, molte sfumature da paese a paese. Accenno per tutte, alla significativa differenza tra due villaggi distanti tra loro non più di mezzo chilometro: in uno, marito e moglie usavano rivolgersi tra loro col «tu», nell'altro col «voi»; nel primo, la donna era molto sottomessa e trattata rudemente dall'uomo; nel secondo, praticamente, era la donna a dare il tono di vita alla famiglia, l'uomo non prendeva decisioni senza l'approvazione di lei; nel primo, l'orario dei lavori agricoli estivi iniziava alle sei della mattina e la sera gli uomini frequentavano l'osteria rimanendosene attorno sin quasi alla mezzanotte; nell'altro alle quattro già ci si recava sui monti e alle otto di sera tutti erano ritirati nelle case; facili i litigi nel primo villaggio, ma altrettanto rapide le riconciliazioni; odi che duravano per generazioni nell'altro.
Ebbene: nel primo paese venne scoperta una notevole necropoli celtica di incinerati, nel secondo furono messe in luce tombe di inumati, che rivelavano un'origine probabilmente ligure con successivi apporti barbarici. Si sa che i Celti vivevano in una società squisitamente maschile, mentre le tribù liguri seguivano forme matriarcali. Il caso a cui ho accennato non è unico: simili potrei documentarne in altre due valli del nostro territorio lariano.
A proposito del villaggio celtico a cui ho accennato ricordo un fatterello, avvenuto a fine 1800, rimasto proverbiale. Un maggiorente del luogo, gran giocatore di morra, ricco di siti, non avrebbe per nulla al mondo venduto un terreno, anche se uno sterpaio gli si fosse offerta una gran somma; e se ne vantava. I compari scommisero di vincere la sua resistenza. Una sera, dopo averlo reso un po' brillo, gli domandarono, di cedere un ronco. Al rifiuto categorico, ridacchiando, avanzarono il sospetto che egli agisse cosi perché la moglie non gli permetteva di vendere. Non andò molto che lo sprovveduto cedette alla richiesta, pur di dimostrare che la moglie non aveva alcuna influenza su di lui. Tanto era lo spregio per la donna e tanto sciocco l'orgoglio maschile!
Il soprannome
I ceppi familiari costituenti la popolazione di un villaggio erano pochissimi, ma se i fuochi di ugual cognome erano pure non molti sino al 1200, l'incremento demografico li fece moltiplicare, cosicché ogni famiglia finì con l'avere un proprio appellativo, che nella pratica locale sostituì il cognome, come lo sostituì negli atti ecclesiastici e sovente, sebbene con più cautela, anche in quelli notarili. Tale denominazione veniva talora dal nome proprio di uno dei componenti la famiglia — Matè, Lazzer, Madalena, Carlantoni — talaltra dalla località dove sorgeva la casa di abitazione — Porta, Punt, Surcà - talaltra ancora dalla località di origine — Biel, Cogne, Mornic, Pagnon, Garzen - oppure dal mestiere tradizionale — Pastor, Bergamin, Tabachin, Pitor — oppure infine dalle caratteristiche fisiche o di carattere di un componente - Bazzi, Capelon, Azzalìn —. Tali appellativi, che stanno ora scomparendo dopo essersi mantenuti per secoli; vennero in più dì un caso assunti quali vero e proprio cognome quando fu istituita l'anagrafe, all'inizio del regno d'Italia.
Permane, invece, l'abitudine, soprattutto nei villaggi di non numerosa popolazione, di dare un soprannome ai singoli indivìdui, sin da giovinetti. In verità, tali soprannomi sono sempre scelti assai felicemente e si adattano bene anche quando i soggetti sono uomini fatti. Suggeriti dall'aspetto fisico, ma più sovente dal carattere, ne ho trovato l'impiego sin dal medioevo, con regolare registrazione nei rogiti. Ne cito alcuni del 1500: il signorino, il poledro, il girarosto, il sozio, il frasca, la bella, la borina, il secco; e qualcuno di oggidì: lo stracco, il lupo, il forte, lo zoppo.
Ancor oggi nei nostri paesi esistono veri e propri clan, o raggruppamenti familiari che fanno capo a un fuoco guida; in genere, dalle ricerche che ho potuto condurre, tali consorterie hanno una discendenza comune. Se nella vita di tutti i giorni esse convivono tra di loro in un vicinato cordiale, nei momenti di emergenza si individuano nettamente, cancellando rancori personali tra i membri e perseguendo uno scopo comune.
Me ne sono reso conto nel tempo di guerra e tuttora l'ho costatato durante le elezioni amministrative: i più avveduti candidati possono calcolare a priori i voti e difficilmente sbagliano! Anche la tendenza alle consorterie ha un risvolto celtico, e gli antichi scrittori latini e greci ne testimoniano.
Impressiona chi e addentro alla vita paesana, ed io ho sin da ragazzo avuto dimestichezza sia in villaggi di qua e di là del lago, studiandone poi la storia sui libri parrocchiali e soprattutto sui rogiti notarili, fonte tanto preziosa quanto troppo accantonata per la difficoltà di lettura, osservare come le caratteristiche di una determinata famiglia si siano mantenute, attraverso le generaioni sino ad oggi. Ho trovato in Curia una nota del parroco di un paese, risalente alla metà del 1500, in cui si parla di due individui, padre e figlio, messi a cappio per grassazioni sulle strade; la famiglia a cui appartenevano, che tuttora fiorisce, era nota cinquantanni fa, quando la miseria spingeva al malfare, per i continui furti. San Carlo scomunicò i membri di altra famiglia che nella propria abitazione organizzava balli; ebbene ancor oggi quella casata è nota per la facilità dei costumi. Il parroco di altro paese annotava nel 1600 incesti avvenuti, consumati dai lontani antenati di persone che ancor oggi danno scandalo per analogo comportamento. Non diciamo, poi, di peculiarità dovute a forma di educazione, ben più facilmente spiegabili: le famiglie use alla penna, anche se decadute, mantengono l'amore ai libri, e oggi, nel maggiore benessere raggiunto riemergono nello studio.
Altre caratteristiche ancora, da annoverare dove ragioni fisiologiche si uniscono ad altre di comportamento tradizionale, vi sono famiglie, poche, che dal 1500 ad oggi diedero costantemente tre generazioni mentre la maggioranza delle altre dava vita, nello stesso lasso di tempo, a quattro; le prime, poi, hanno generalmente un solo figlio maschio, le altre più di uno.
L'economia
Il ritmo della vita familiare era determinato dall'andamento dei lavori agricoli. Ogni fuoco aveva una sua economia indipendente; solo la conduzione dei pascoli alti era tenuta da più nuclei in consorteria. La necessità, quindi, di seguire i cicli della natura, senza perdere il passo portava ad orari di lavoro pesantissimi nella stagione buona, dando tregua solo durante le grandi nevicate invernali, tempo in cui gli uomini si dedicavano a opere leggere, mentre le donne rimanevano impegnate nel tessere e nel filare. Nell'illustrare in seguito i vari aspetti delle occupazioni, metteremo in luce come il fattore economico, forzando sovente anche le prescrizioni religiose, condizionasse profondamente ogni aspetto dell'esistenza.