L'evoluzione politica delle Comunità di Lecco e della Valsassina dall'origine all'età comunale
Pietro Pensa, L'evoluzione politica delle Comunità di Lecco e della Valsassina dall'origine all'età comunale da Pagine di vita lecchese, 1967-68, pp. 5-15.
Introduzione
È ricorrente, nei documenti valsassinesi pervenutici, il richiamo ad una antichissima libertà e il vanto di prerogative e di diritti a quella libertà attinenti, mantenuti intatti attraverso le dominazioni succedutesi sul territorio lombardo. Sentimento che informa tutta la storia politica valsassinese, riportandola sempre, attraverso sussulti di insofferenza ad ogni tentativo di costrizione, ad un carattere squisitamente democratico.
Ben diversamente, la storia politica di Lecco, condizionata dalla funzione strategica del Castello e del Ponte, si svolge sempre lungo un binario nettamente aristocratico.
Assai interessante è quindi studiare pariteticamente l'evoluzione delle due comunità sotto l'urgere delle vicende: vicende né povere né ingloriose, già che gli interessi militari, dovuti al fatto che la Valsassina rappresentava la via più diretta dai grandi valichi alpini alla pianura lombarda e la fortezza di Lecco era la chiave per sbarrare quella via, e gli interessi economici legati all'industria leuco-valsassinese dell'estrazione, della fusione e della lavorazione del ferro, di gran lunga la più importante del Milanese, fecero superare alle due comunità gli angusti limiti territoriali per condurle ad assurgere ad un'importanza politica di primo ordine nella storia, dall'alto medioevo sino all'età moderna.
Le origini
Assai poveri di reperti archeologici antecedenti, dobbiamo ritenere, allo stato attuale delle nostre conoscenze, che le prime collettività organizzate di abitanti, sia nella Valsassina che nell'anfiteatro lecchese e nelle valli adiacenti, fossero rappresentate da tribù aventi stanza in quei luoghi protetti da natura attorno al II secolo prima di Cristo.
Tali collettività si adattarono all'orografia del territorio, venendo a costituire organismi che ebbero un loro centro di comando là dove alcuni secoli più tardi sarebbe sorta la Chiesa battesimale, e che diedero luogo ai complessi demici dei Concila, corrispondenti a un dipresso ai susseguenti Pagi romani e alle Pievi medioevali.
La Valsassina è costituita da un bacino imbrifero ben determinato, già che il fiume Pioverna ne traccia, incuneandosi tra le due grandi catene delle Grigne e del Pizzo dei Tre Signori, l'architettura fondamentale, nella quale il rilevato di Barzio con il torrente Bòbbia, la strozzatura della chiusa di Introbio, la valle di Casargo e il monte Muggio delimitano parti omogenee.
Il Lecchese vero e proprio, a sua volta, è rappresentato da un vasto anfiteatro circoscritto dal lago, dal fiume Adda, dalla stretta di Ballabio, dalla Chiusa, ed ha come centro la località eminente di Castello. Tali unità orografiche diedero origine al Concilium lecchese e al Concilium valsassinese, inizialmente distinto, quest'ultimo, in Concilii minori che divennero in seguito le Squadre del Consiglio, di Cugnolo, di Mezzo.
Infine, la valle dell'Esino, facente capo a Perledo, divenne sede di altro Concilium; mentre territori periferici, quali l'alta valle del Varrone, l'alta Valtaleggio, la Valtorta, portati dalle possibilità di comunicazione più verso la Valsassina che verso la loro defluenza idrografica fecero parte integrante del Concilium valsassinese.
Le collettività insediate vennero a crearsi un possesso, forse inizialmente gentilizio, sulle terre, assai estese, essenziali alla loro economia, in particolare su pascoli e su selve.
Nel complesso demico del Concilium si andarono poi individualizzando i Vici o villaggi, intesi come il minore organismo territoriale o ultima cellula dell'organismo pubblico. L'opinione infatti che lo stanziamento isolato fosse il tipico modo di abitare dei più antichi residenti ha ceduto a quella dello stanziamento a villaggi; e nel nostro caso tale congettura è tanto più verosimile in quanto i componenti dei Concilii del Lecchese e della Valsassina erano certamente già venuti in contatto con la evoluta civiltà etnisca.
Mentre nel territorio da coltivo adiacente al Vicus si dovette formare, come conseguenza naturale dello sfruttamento individuale del suolo, la proprietà terriera, il complesso demico circoscrisse una sua terra comune.
Vicanum fu così il territorio comune pertinente a tutti i fondi del territorio del villaggio. Esso, segnato da pietre o da termini naturali indicati dalla tradizione locale, non si modificò più, anche quando, in tempi successivi, i fondi posti alla sua periferia passarono in proprietà ad abitanti di villaggi confinanti.
Terre invece di interesse collettivo a più Vici rimasero di diritto del Concilium e furono i cosiddetti Conceliba.
Osservando l'ubicazione delle terre comuni dei villaggi così come la si troverà nel medioevo, si è portati a concludere che i Vicanalia si presentassero come gli appezzamenti di una unica estensione originaria di terra incolta già appartenente, prò indiviso, alla federazione dei Vici.
Che tale fenomeno centrifugo di suddivisione delle terre comuni del Concilium in terre comuni dei Vici fosse iniziato già in tempi preromani è probabile; certo il suo pieno sviluppo avverrà solo più tardi, nel medioevo, per terminare, come vedremo, solamente nel secolo scorso.
Nell'età romana
I Romani, dopo la conquista, procedettero a confische di proprietà che divennero possesso delle Civitates o centri amministrativi maggiori.
È da ritenersi però che nel Lecchese e in Valsassina la confisca sia avvenuta più di diritto che di fatto, che la colonizzazione, cioè, non abbia in linea di massima innovato nella destinazione delle terre comuni, ossia che pascoli e boschi siano continuati ad essere l'accessorio di una determinata zona coltivata e di un determinato aggregato rurale.
Data la povertà delle terre conquistate, montane e quindi di limitato reddito, una colonizzazione vera e propria non avrebbe potuto svilupparsi come altrove, con la espropriazione e l'erezione di latifondi e di colonie di immigrati.
Quindi, si può affermare che la porzione di terreno confiscata dai Romani sia stata una quantità astratta e non fisica, che cioè i terreni siano stati lasciati agli antichi possessori, con l'obbligo di pagamento di un Vectigal o tributo. Va fatta eccezione per quelle località aventi per i conquistatori un valore militare strategico.
Un documento dell'ultimo medioevo ci permette di dedurre, dal mantenimento dei diritti dei naturali eredi delle prerogative romane, quali furono in Valsassina tali località.
Esse corrispondono infatti a quei luoghi che ritroveremo fortificati nel corso della storia, e precisamente: Baiedo, che con la sua Rocca bloccava la chiusa della valle; Somadino, a cavaliere tra Valcasargo e Valvarrone; Pagnona, con antichissimo castello a guardia del Varrone; Parlasco, che con il luogo forte di Marmòro era passaggio obbligato verso Bellano.
Per il rimanente territorio, come si è detto, ci si limitò alla fittizia espropriazione di un terzo delle aree conquistate, che vennero materialmente lasciate nella totalità ai vecchi possessori dietro il pagamento di un vectigal pari al valore del terzo suddetto, dato in natura.
Al Concilium si sostituì così il Pagus romano, che si affermò quindi come unità di contribuenti fiscali, soggetti anche giurisdizionalmente allo Stato. La riscossione del tributo spettò a un funzionario del Pagus, che forse nel Lecchese e in Valsassina ebbe anche i poteri militari connessi ai posti fortificati.
L'esazione fiscale ebbe per oggetto la collettività e non il singolo individuo. Ciò mostra come le forme collettive siano state accettate e mantenute.
Agli indigeni rimasero i poteri di polizia relativi all'amministrazione delle terre comuni, quali il carico delle alpi è il taglio dei boschi. Le antiche norme consuetudinarie, nate dalle esigenze locali, continuarono a regolare la vita della comunità sia per l'intero Pagus che per i Vici.
Il fatto che nei più antichi documenti si fa riferimento a Conceliba, nome che riconduce al Concilium primitivo, e non appare invece il nome Paganalia, è una conferma che V ordinamento pagense romano si sia adattato al preesistente» Tale fenomeno appare d'altronde evidente dai reperti archeologici, che mostrano il successivo inserirsi del costume romano in quello dei precedenti abitatori.
Dopo la conquista, andò infatti sviluppandosi, sia nel Lecchese che in Valsassina, quel tipo di civiltà che passa comunemente sotto il nome di gallo-romana, forme della quale (monili, vasi, armi, consuetudini funerarie) sono talora tipicamente locali, talora di chiara origine romana.
Si ritiene che in quei tempi la proprietà passasse da padre in figlio come patrimonio familiare.
Probabilmente i Patresfamilias si riunivano in assemblee del Concilium che dovevano decidere sui problemi di amministrazione dei beni comuni.
Durante PImpero, esteso il diritto di cittadinanza, portati a confinare tra loro i territori delle Civitates, i Pagi vennero compresi nei territori delle stesse, ma conservavano la loro organizzazione autonoma, indipendente da quella del Municipio, cioè fuori dai quadri amministrativi dello Stato. Ciò sino ad epoca assai avanzata, ossia al IV secolo d. C, quando ^appare una subordinazione degli ufficiali del Pagus alla magistratura municipale.
È da notarsi che mentre, in linea generale, la circoscrizione pagense non si conformava d'obbligo a quella municipale come la frazione all'interno, giacché i confini delle Civitates nella loro definti va redazione, seguendo i grandi elementi naturali, attraversarono sovente il territorio di un Pagus, tale non fu il caso dei Pagi lecchese e valsassinese, ben determinati dalla configurazione orografica. Il Vicus, a differenza del Pagus, non ebbe mai, sotto i Romani, un proprio distretto a carattere di territorium o di circoscrizione politica. Nel catasto di Augusto l'ubicazione di un appezzamento di terra era stabilita con riferimento al Pagus.
Con l'apparire e con il divulgarsi del cristianesimo, nei capoluoghi dei Pagi sorsero le prime chiese battesimali, che ebbero come proprio distretto il territorio del Pago. Ih Valsassina le chiese battesimali più antiche furono quelle di Primaluna, o forse di Cortabbio in quanto in quel luogo si rinvenne la più antica stele funeraria cristiana, del V secolo, di Cremeno e di Margno.
Ciò forse sta a riprova del fatto che i Concilii primitivi furono tre, e precisamente quelli corrispondenti alle tre Squadre che troveremo nel Medioevo.
Nel Lecchese la più antica chiesa battesimale fu certamente quella di Castello, nella Val d'Esino quella di Perledo.
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