Tra gli "scongiurati" da tutti temuti c'era anche l'abate avo del Manzoni
Pietro Pensa, Tra gli "scongiurati" da tutti temuti c'era anche l'abate avo del Manzoni in L'Ordine, 23.3.1979.
Quando qualcuno moriva dopo una vita peccaminosa, la sua anima appariva di notte nei luoghi dove aveva commesso i suoi delitti — La storia di Pré Isep, sacerdote e cacciatore
Scrissi, dunque, che a settembre le alpi venivano scaricate: la montagna alta diventava deserta. Per la verità, sino a che la neve non fosse scesa tanto abbondante da impedire il passaggio, vi si avventuravano ancora i cacciatori. Con settembre, infatti, cominciavano le grandi passate di uccelli, e si può affermare che in ogni famiglia uno, generalmente giovane, si dedicasse alla caccia con gli architt. Non mancavano dei veri professionisti: non era diffìcile trovarne che passassero dai quindici ai ventimila archetti. Per tradizione, ognuno aveva la sua zona e se altri vi fosse sconfinato avrebbe trovato il refe dei suoi archetti tagliati.
Nei giorni più felici, vi era chi catturava molte centinaia di uccelli; vedevi allora le donne coi gerli carichi scendere alla riva e portare la cacciagione agli alberghi allora fiorenti per il turismo forestiero, oppure al battello o alla ferrovia per l'inoltro verso la città. Una volta al giorno il bracconiere passava a raccogliere la selvaggina catturata, coturnici e galli di montagna. I guardiacaccia avevano, naturalmente, un gran daffare, ma, giacche la montagna presenta mille nascondigli a chi la conosce, non ottenevano grandi successi.
Paura, invece, incutevano le anime vaganti degli scongiurati. Nessuno si sarebbe azzardato a trascorrere la notte, trascorsa l'estate, nelle baite abbandonate. Dopo che i pastori si erano allontanati, infatti, di quelle baite prendevano possesso i condannati per l'eternità. Bisogna sapere che, quando qualcuno moriva dopo una vita peccaminosa, la sua anima compariva di notte nei luoghi dove aveva commesso i suoi delitti. Raccontano, ad esempio, che il signor Ercole della famiglia di Alessandro Manzoni, nato nel 1663, vice abate del collegio notarile e cancelliere dell'ufficio militare spagnolo, ne aveva fatte in vita di tutti i colori; si era persin costruito un trabocchetto in casa e, invitate con pretesti le persone non di suo gradimento, le faceva scomparire nel baratro sottostante. Giunto agli ultimi giorni, nel 1737, e ridotto nel letto, andava gridando di allontanare un caprone selvaggio che lo minacciava; lasciatolo un momento solo, chi lo assisteva udì un urlo: rientrò nella camera e non trovò più nessuno, avvertendo solo un pessimo odore di pece e di zolfo. I familiari tennero nascosto che il demonio si era portato via il congiunto in anima e in corpo; nella bara posero un ceppo di pesante legno. Per evitare angherie da parte del defunto, la sua anima venne poi esorcizzata e confinata nella valle di Inscea.
Mi assicuravano i vecchi che la maggiore esorcizzazione era però avvenuta al tempo del Concilio di Trento, ma che è vicino il tempo in cui i montagn saran pela, i omen senza parola e i donn senza vergogna e che allora le anime degli scongiurati ritorneranno e verrà la fine del mondo. In tanta prospettiva, si può comprendere che i braccatori salissero sulle alpi nell'ultimo ottobre solo in pieno giorno. Una valorosa scrittrice di cose lariane raccolse alcune testimonianze in proposito nelle valli dell'Alto Lario occidentale, particolarmente su apparizioni all'alpe di Camedo. È fatta, questa, da un susseguirsi di piccoli mottoni con pendenza moderata, formanti frequenti aree pianeggianti, delimitate in basso da un bosco di faggi che scende sin sopra la valle del Fiumetto affluente del Liro, in alto dalle impervie giogaie culminanti nel monte Cardinello, dal quale rocce rovinano, in un paesaggio da leggenda.
Dicono che soprattutto là venivano esorcizzate le anime dannate. Dietro a una prima alpe vi sono mucchi di sassi. Assicuravano che vennero rotti così dai dannati con l'aiuto di grosse mazze che poi nascondevano in un buco sotto un macigno posto presso la seconda alpe. Raccontavano anche che tra quei sassi gli scongiurati si fermavano a riposare dall'immane fatica, giocando alla morra. Sempre a Camedo sembra che una volta un pastore, portando le sue mucche all'alpe, all'inizio dell'estate, vi trovasse quattro uomini a cui consegnò il bestiame, credendo che fossero i caricatori del pascolo: erano invece anime di scongiurati soffermatesi in luogo oltre il tempo loro concesso. Altra storia parla di cacciatori che, divisato di fermarsi una settimana nelle baite dell'alpe, disturbati durante la prima notte da strani rumori suscitati dalle anime in pena, il giorno dopo, spaventati, abbandonarono il luogo, Già in precedenza ho accennato alle anime dei pastori che per aver trascurato i doveri della religione vagano in pena nelle ore di tempesta sulle pietraie del Moncodeno di Grigna. Dicon che lassù è facile incontrare l'anima di Pré Isep e di lui racconterò. Son luoghi quelli proprio da tregenda. Quanto a macereti nulla possono invidiare ai monti dell'Alto lago; per di più, fatti di dolomia come sono, con il loro chiarore spettrale sembrano immani cimiteri e danno un sentimento di morte e di rovina. Era dunque, Pré Isep, un sacerdote, grande cacciatore. Mille storie di ardimenti e di bravure si raccontavano di lui. Una mattina, accennava la primavera e gli uomini erano quasi tutti a lavorare in foresteria, il Toni di Buroi andò al Pianchel per togliere dal mucchio un po' delle castagne tenute ancora nei ricci perchè si conservassero: ebbe la sorpresa di scoprire che un ladro se ne era ingoiata una buona quantità, lasciando attorno le bucce semivuote. La poca polpa rimasta attaccata, ancora fresca, denunciava che il furfante non se ne era appena andato. Il Toni pensò a qualche animale, e, nessuno più di Pré Isep conosceva le abitudini delle bestie, decise di chiamarlo e di sottoporgli il caso strano.
Il sacerdote, quando udì il fatto, comprese subito che si trattava di un orso appena uscito dal letargo e si rallegrò per l'occasione che gli metteva davanti una preda tanto rara. Raccomandò al Toni di stare zitto, di non dir nulla a nessuno, perchè se in paese fosse giunta la notizia tutti sarebbero accorsi e avrebbero battuto la montagna facendo fuggire la belva. Poi, la sera, all'Ave Maria, caricato il fucile che era a canna grossa e con tanto di stilo in testa, appostò il Toni vicino all'abitato, presso la gran frana detta Lavinone, dalla quale si domina il versante dei Pranchei, gli raccomandò di attendere due spari: il primo sarebbe stato quello destinato all'animale, il secondo, fatto esplodere appena caricata l'arma un'altra volta, sarebbe stato il segnale del buon successo dell'impresa; dopo di che il Toni avrebbe potuto chiamare gente e venire a prendere la preda. Detto fatto, Pré Isep salì al Pianchel e si appostò su di un castano che dominava la ricciaia. Non si era ancora fatto buio quand'ecco uscir dal bosco un orso bruno, grosso e possente come altri mai se ne erano veduti. Pré Isep attese che fosse a tiro, puntò l'arma e sparò. L'animale, colpito malamente, con grandi urli di dolore rotolò per il vallone.
Pré Isep scese dall'albero e lo inseguì; stava per raggiungerlo quando incespicò. La belva gli si avventò contro, ma lui l'affrontò impavido a colpi di stilo e l'ammazzò. Rialzatosi, il sangue dell'orso aveva bagnato la polvere che doveva servire all'altro sparo. Il Toni di Buroi dall'altro versante della valle, udito il primo colpo e subito dopo gli urli della belva, preso da spavento, sicuro della morte di Pré Isep, se ne era fuggito chiudendosi nella sua casa. Là lo trovò il sacerdote quando tornò in paese. Raccontano che per vari giorni la gente mangiò la carne dell'orso di Pré Isep.
Passaron anni e l'audacia di lui non conobbe più limiti. Batteva la montagna d'inverno e d'estate e sempre tornava con le più grosse prede; uccise un altro orso presso Mascedo, così grosso che quando lo appesero alla casa posta di fronte alla chiesa, ne trassero ben ventidue pesi di carne che nutrì per molti giorni l'intera popolazione; un altro, feroce, che sterminava greggi di pecore e di capre, venne colpito a Giullo, presso la grotta del Santo Nicolao, e andò a morire nella Valle Grande dove trovarono la carogna alcuni mesi più tardi. Dicono ancora che, alla fine, la grande passione condusse Pré Isep a trascurare i suoi doveri di sacerdote, cosicché il demonio ebbe finalmente il potere di colpirlo. Si trovava egli un giorno nell'alta valle Molinera, sopra il bosco, là dove le rocce si levano più ardite; un camoscio, agile e forte, apparve d'improvviso su una croda: aveva corna d'argento che luccicavano al sole. Pré Isep prese a inseguirlo dentro le forre, su per le guglie, lungo le creste più aree; lo inseguì senza posa sino sotto le immani pareti del Pizzo. Qui, il meraviglioso animale si addentrò nel vertiginoso camino che taglia lo strapiombo in verticale. Instancabile, Pré Isep si arrampicò dietro di lui; quasi lo aveva raggiunto che quello lanciò un fischio acuto e dall'alto, suscitati da potenze infernali, si precipitarono branchi di camosci. Pré Isep ebbe appena il tempo di puntare lo stilo del fucile in una crepa della roccia e di aggrapparsi all'arma per reggere all'impeto degli animali. Appena la furia si fu dileguata nei valloni della valle Molinera, ritirò il fucile, ma tanto si era conficcato lo stilo nella roccia, che dovette strapparlo. In preda al terrore ritornò in paese, ma lo spavento gli aveva tolto la parola. Intristì e morì in poco volgere di tempo. Narrano che la sua anima fu scongiurata e che ancora vaga dove egli incontrò la terribile avventura.
Quando ero un giovinotto effettuai, con un compagno d'armi di lassù, una prima ascensione su per la celebre parete. Cercai lo stilo di Pré Isep, ma non mi fu dato di trovarlo!