Memorie private pubblico patrimonio

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Articolo di Pietro Pensa da Insieme Cultura, n. 4, 1983, pp. 33-36.


La famiglia Pensa ha salvato dall'incuria del tempo e della gente una documentazione che risale al 1200. Un amore per la storia che si tramanda di generazione in generazione e che merita l'interessamento della collettività

Il 27 ottobre scorso Vittorio Branca pubblicò sul Corriere della sera uno scritto intitolato «Riscoprire gli archivi storici», nel quale, con accorato sentimento, espone l'importanza di valorizzare le raccolte di documenti, rimaste ancora al margine dell'interesse pubblico e privato; giustamente afferma che sono i loci humanitatis et veritatis, che «parlano concretamente della vita intera — spirituale e materiale, ideale e quotidiana — degli uomini, delle loro opere e delle loro vicende, dei loro istituti... tanto che senza i documenti d'archivio anche le opere di arte e di poesia non potrebbero essere lette nel contesto storico-sociologico-civile che riflettono e rappresentano». Osservazioni semplici, ma valide, che, se sono fondamentali per i grandi archivi di Stato, purtroppo difficilmente accessibili perchè caotici e non alleggeriti nella loro mastodontica complessità da regesti che avvicinino e guidino chi consulta, sono valide anche per i piccoli archivi pubblici e privati. In sostanza, l'ambiente storico e socioeconomico locale permette, in una sommatoria estesa, di scrivere la storia vera, che spieghi e interpreti i grandi avvenimenti. Se trascurati sono i grandi archivi, quelli minori hanno più che mai una realtà fragile, che ne vede sovente la scomparsa, accompagnata da una perdita irreversibile.
Ritengo utile, in proposito, accennare qui all'esperienza da me vissuta in una sessantina d'anni, modesta ma indicativa.
Io venni in contatto con l'archivio della mia famiglia quando ero ragazzetto, di neppure dieci anni. Vivevo allora il mio periodo scolastico a Milano, dove mio padre era professore.
Il mio sogno, però, era il mio paese di montagna, dove erano fiorite generazioni e generazioni della mia famiglia. Lassù vivevo durante le vacanze nella casa dei miei vecchi, che ancora conservo con amore. In quella casa, del 1400, sopra portichetti vi erano tre stanze: in una, detta di San Carlo perchè quel santo ci aveva trascorso una notte nel novembre 1566, si conservavano un letto, un inginocchiatoio e un crocefisso, così come vi stavano allora; in quella opposta era sistemato lo studio di mio nonno con una scrivania ed un armadio; nell'intermedia, che noi ragazzi con un senso di timore chiamavamo «la stanza di mezzo», erano depositati gli attrezzi di lavoro andati in disuso, telai, filarelli, gramole, fusi, rastrelli, gerle, vanghe e picconi, caldari, conche per latte, zangoli, forme per burro e formaggio. Dal soffitto, intelaiato con travi e travetti di legno scuro, pendevano rotoli di documenti, sospesi con cordicelle di canapa perchè i topi non potessero raggiungerli e rosicchiarli. Quella stanza, semibuia, aveva un aspetto di cabala e ci incuteva paura perchè su noi gravava la minaccia di esservi rinchiusi se avessimo combinato delle marachelle. Le poche volte che il castigo venne, io, tuttavia, trascorsi i minuti di reclusione familiarizzandomi con quegli involti cartacei e, a poco a poco, mi nacque il desiderio di aprirli e di conoscere i misteri che nascondevano. Quando fui studente di liceo presi ad andare qualche volta nell'inverno sulla montagna con mio padre, per allenarmi nello sci e mentre la sera lui stava in municipio ad amministrare il comune, io mi dilettavo a tagliare le cordicelle, a svolgere i documenti, i più antichi di pergamena e poi di carta, a cercare di interpretare le scritture del passato. Fu così che provai l'emozione di rivivere secoli di vita del paese e dei dintorni: vi erano rogiti di notai di famiglia dal 1300 al 1700, atti di vendita, di acquisto, di dote, di eredità, lettere del 1700 e del 1800, registri del comune che sotto gli Spagnoli e gli Austriaci veniva gestito in casa mia, dagli avi, che erano sindaci, deputati e consiglieri della Comunità generale di Valsassina.
Nacque in me la passione per la storia della mia Terra. Ma fu una macchia d'olio che, come si può immaginare, si andò dilatando rapidamente: il mio interesse dalla montagna passò alla Valsassina, da quella a Lecco, poi, ancora, alla Valmenaggio dove stava, e conservo la casa di mia madre. E sconfinai: fui portato a Como, nella Brianza, in Valtellina. Ma il conoscere ha sempre sorprese: trovai che i miei vecchi nel 1500 dal Lario andavano in Aosta; vi furono sindaci, canonici e notai e da là tornavano qui a riposare e anche a finire i loro giorni e a passare in cimitero. Misi mano negli archivi dello Stato, delle Curie e delle chiese.
La professione mi assorbiva, giravo per il mondo, ma anche quella era esperienza che mi pose in condizioni di raffrontare a quello d'altrove il volto di noi gente del Lario. Ero assente, ma gli archivisti mi preparavano microfilms e attorno si sapeva che avrei acquistato volentieri documenti.
L'archivio, dunque, si arrichì; ma per trarne elaborati, raccolsi, accanto alle scritture, i libri vecchi e recenti che trattano del nostro territorio: corrispondevo con l'antiquariato e così potevo lavorare nelle ore della sera fuor di biblioteca.
Non si creda: non ho molto, ma è roba che non si può rifare; basti dire che le trascrizioni che posseggo riguardano anche documenti che andarono distrutti nei bombardamenti del 1942. Ora sono in gara con l'età: vorrei, di quanto ho, trar profitto scrivendo ancora, ma gli anni si sommano senza remissione. Un problema si affaccia così: la conservazione degli archivi, grandi e piccoli che siano. Non ho avuto di questo aspetto una felice esperienza. Mentre nella biblioteca e nel Museo di Como, forse perchè si tratta di enti di tradizione molto vecchia forse per la buona scelta del personale, da quello direttivo a quello d'ordine, la rigidità nel tenere controllata la consultazione di documenti e nel non lasciare uscire libri anteriori al 1900, irrecuperabili se persi, tranquillizza; in enti similari di altre città, invece, non ho più trovato documenti da me consultati venti anni prima, e fortunatamente fotocopiati; mi sono visto giungere da antiquariato estero librario manoscritti con bolli di archivi e libri del cinque e del seicento con bolli asportati, chiaro indizio di provenienza da archivi, o pubblici o privati.
La fragilità di simili raccolte è resa palese anche dall'uscita di cataloghi di antiquariato con gruppi di libri locali, provenienti per necessità economica da chi li ha raccolti, o, più probabilmente, venduti dagli eredi.
Mentre ero assente in Russia, poi, mi sono sfuggiti due archivi che tenevo d'occhio, sperando di poterli avere: uno era di un valente storico, che aveva rastrellato carte in parrocchie e in comuni, l'altro di donna Ida, l'ultima dei Torriani, che possedeva atti persino del 1200, interessanti addirittura la storia di Milano.
Dopo la morte, gli eredi avevano accumulato le carte nel cortile della casa e dato fuoco! Ho fortunatamente regesti. Altri casi ho incontrato; due archivi di nobili famiglie, feudatarie del nostro lago, hanno corso il rischio di esser disintegrati per la vendita di pergamene ricercate. Per mia fortuna son riuscito a farne cedere uno ad ente pubblico locale e ad acquistare l'altro. Una legge esiste, ma l'applicazione è in alto mare. Vidi, attorno al 1955, su invito prefettizio, ordinare gli archivi comunali nostri: le persone incaricate si preoccuparono di ritagliare i francobolli per venderseli e farne soldi!
Sto ora registrando il poco che ho avuto dai miei avi e quel che ho raccolto. Farò avere la nota all'ente incaricato dalla legge, sicuro peraltro che i miei figli e i miei nipoti avranno il rispetto che ebbero i miei vecchi.
Mi auguro comunque che l'attenzione regionale affronti il problema finalmente.
Un passo encomiabile ha già fatto per i Musei. Anche lì son passate traversie. Nel mio paese, ad esempio, il Museo delle Grigne, fondato dal parroco tra le due guerre, si sfasciò nel 1942 e venne rubato quanto di buono vi stava.
Ripresa l'iniziativa dal Comune quando ero sindaco, ora la Regione ne ha voluto l'inventario, dà contributi e incoraggia a far comprendere dalla mentalità locale il valore di simili raccolte. Compito più difficile è affrontare il problema degli archivi, ma già l'attenzione vi si è posta: quando si comincia, si va avanti. E, fortunatamente, è ancora tempo buono.