Lecco e Valsassina durante l'ultimo cinquantennio del Ducato Visconteo

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Articolo di Pietro Pensa, in Periodico della Società Storica Comense, vol. XLI (1960-1967), pp. 75-101.


NELL'INTERREGNO TRA GIAN GALEAZZO E FILIPPO MARIA

Il nuovo secolo iniziò, nel Ducato di Milano, con cattivi presagi: la peste, come sempre, serpeggiava nei paesi d'Europa e si temeva che i pellegrini, affluenti a Roma per Tanno santo, la diffondessero lungo il loro passaggio.

Il Ducato, retto da Gian Galeazzo Visconti, conte di Virtù, uno dei più illuminati principi d'Italia, mecenate delle arti e delle scienze, aveva raggiunto, nel 1400, i più vasti confini che ebbe mai, da Como ad Assisi, da Tortona a Bassano, guardati dai migliori capitani di ventura del tempo.

Il Duca, per limitare il più possibile il pericolo di contagio, prestabilì le vie che i pellegrini avrebbero dovuto percorrere: quelli che giungevano alla frontiera dell'alto Ticino dovevano raggiungere il Po per Como, Lecco e la riva sinistra dell'Adda; quelli che invece entravano da Briga dovevano passare lungo il fiume Tresa, Omegna, Vercelli, Novara.

Il movimento doveva essere disciplinato dagli ufficiali ducali; in Lecco era castellano del Ponte Nicorosius de Opizonibus da Tortona e castellano della Rocca Ubertus de Invitiatis d'Alessandria.

Nonostante le prevenzioni adottate, il male dilagò e lo stesso Duca ne morì, il 25 agosto 1402.

Gli furono tributate esequie solenni il 20 ottobre seguente con un fastoso corteo che accompagnò il feretro dal castello di Porta Giovia al Duomo: tra gli ambasciatori e i cavalieri, inviati da quarantasei città del dominio per partecipare alle onoranze funebri, vi furono i rappresentanti di Lecco.

Nel testamento, il Duca aveva destinato al primogenito Giovanni Maria la parte centrale del Ducato, da Como a Bologna e ad Assisi; al secondogenito Filippo Maria la contea di Pavia e le due zone orientale ed occidentale; al figlio legittimato Gabriele Crema, Pisa e la Lunigiana; nulla all'illegittimo Antonio.

Dato che i figli erano minorenni, il governo del Ducato fu assunto da un Consiglio di reggenza, in cui, accanto alla madre Caterina Visconti, figuravano cortigiani e capitani, i quali, avidi di potere, cercarono presto di sopraffarsi l'un l'altro.

Le condizioni finanziarie della Camera erano assai precarie e l'oppressione fiscale molto dura. In Milano e nel Ducato, poi, gli antichi ideali politici, vuoi comunali, vuoi di parte guelfa e ghibellina, non erano scomparsi; la fedeltà ai Visconti era, soprattutto nella gran parte del territorio di recente acquisto, molto relativa e perciò il compito del nuovo governo si presentò subito estremamente difficile.

Nel giugno 1403, i dissensi scoppiarono in aperta lotta. Il Ducato, costituito da elementi eterogenei, non ancora amalgamati tra di loro, si trovò in balia di se stesso. I signorotti locali, i capitani tendenti a costruirsi un proprio dominio, soffiarono nel desiderio di autonomia di ogni città e nei contrasti tra città e città.

Rinacquero ovunque le antiche fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini: il Ducato fu in fiamme.

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