Le antiche famiglie nobili e notabili del Lario orientale

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, Le antiche famiglie nobili e notabili del Lario orientale ed. La Quercia, Milano, 1976.

Frontespizio

Considerazione generali

La posizione geografica tra grandi valichi alpini e pianura lombarda, l'orografia che fece della sua più notevole vallata, la Valsassina, un'agevole via di passaggio e di Lecco, postane allo sbocco, la chiave di quella via, la costituzione geologica e ambientale che, con la ricchezza di giacimenti ferrosi, di energia idraulica e di boschi, la resero grande fornitrice di metallo a Milano, furono tutti motivi determinanti ad imprimere, nel corso dei secoli, alla regione orientale dei Lario un'importanza che trascese le dimensioni del territorio per renderla protagonista di storia. Facile quindi comprendere come sin da antichissimi tempi vi fiorissero nobili famiglie, vuoi perché interessate alla difesa di così delicato settore, essenziale alla sicurezza di Milano, vuoi perché richiamate dall'allettamento economico dell'industria ferriera.

Il volto, però, del tessuto demico della regione fu sempre del tutto particolare e, non si erra affermandolo, assai progredito socialmente. Ne illustriamo brevemente le ragioni.

I primi abitatori organizzati furono Celti che, sospinti verso i monti dall'incalzare dei Romani vincitori, occuparono i territori più fertili della riva del lago e delle vallate ad esso affluenti, adattandosi con le loro tribù all'orografia dei paese e circoscrivendo vasti beni comuni, pascolo e boschi, necessari alla loro esistenza. Nacquero così i concilii gallici. II sopraggiungere dei Romani non portò, come nelle zone di pianura, alla confisca di vaste aree latifondi, ma solo al pagamento di un tributo o «vectigal», limitando il possesso diretto ai punti di importanza strategica. L'amministrazione dei beni comuni, la conservazione dei boschi, il carico dei pascoli, gestiti dai capi famiglia, condussero ad una rudimentale forma di governo destinata a diventare il germe dei futuri liberi comuni.

Dopo l'impatto con i barbari che, rotto il «limen» delle Alpi, trascorsero saccheggiando le terre italiche, i più organizzati governi goto e bizzantino mantennero l'antico ordine romano, che fu invece rovesciato dai Longobardi, i quali uccisero gli antichi proprietari o li costrinsero a fuggire.

Nel triangolo lariano avente per vertici Como - Lecco - Colico si attestò, però, un esercito bizantino in fuga, nella speranza di una riscossa, e vi resistette durante i venti anni di interregno seguiti alla morte di Alboino, sino a che, divenuto re Autari, si ridusse nell'Isola Comacina, arrendendosi a onorate condizioni dopo sei mesi di assedio. Per le ragioni suddette, sopravvissero molti nobili romani che si erano ivi rifugiati.

Dopo la conquista, i Longobardi, in considerazione della minaccia dei confinanti Franchi, loro nemici, costituirono nel territorio molti centri arimannici di difesa, utilizzando le numerose fortificazioni create nel tardo impero e rafforzate dai Bizantini. Alla caduta dei Longobardi, due secoli dopo, Lecco divenne centro di una marca franca di confine; fiiorirono quindi corti e castelli. Tali elementi inducono a pensare che le famiglie eminenti di cui si ha memoria scritta dopo il 1000 siano state originate da gasindi e arimanni longobardi e da vassi franchi.

Quanto distingue la zona è però sempre il costante mantenersi dei beni comuni con la loro amministrazione diretta da parte dei capi famiglia, attraverso le successive dominazioni che videro i cincilii gallici trasformarsi nei pagi romani e quindi nelle pievi altomedioevali.

Così, quando durante il dominio dei vescovi si affaccia il libero comune, la sua formazione si fonda su antichissime consuetudini e avviene perciò non in contrasto, ma addirittura con la partecipazione dei «domini loci» di qualsiasi provenienza essi siano; ad essi, anzi, e per l'antica abitudine al comando, e per la maggiore istruzione giuridica, sarà devoluto per abitudine il maneggio della cosa pubblica.

E' qui da ricordare, nel quadro delle guerre comunali che funestarono per ragioni di espansione commerciale quel periodo, un avvenimento assai importante che spiega la dovizia di famiglie nobili nella zona rivierasca del lago di Lecco: l'Isola Comacina, posta nel Lario in posizione strategica assai importante, era divenuta stanza di ricchi casati romani che, provenendo da Como e forse da Aquileia, erano in essa riparati sotto l'incalzare barbarico, come già detto.

I Bizantini l'avevano fortificata e sotto i Longobardi e i Carolingi era stata più volte protagonista di storia.

II grande urto tra Como e Milano per la quale essa parteggiava si era risolto nel 1127 con la distruzione di Como.

Risorta la città lariana per opera del Barbarossa dopo la caduta di Milano, i Comaschi avevano voluto vendetta, mettendo l'Isola a ferro e fuoco nel 1169. La gente che vi risiedeva riparò in Varenna, che per qualche tempo fu chiamata « Insula nova sive Varena ».

Di là, grazie alle ricchezze possedute in altri territori, molte famiglie si diffusero col tempo altrove e raggiunsero grande potenza: basti ricordare i nomi dei Balbiano, dei Serponti, dei Giovio.

Le lotte tra Ghibellini e Guelfi che accompagnarono il formarsi delle Signorie coinvolsero largamente il territorio, particolarmente la Valsassina fedele ai Torriani ai quali fornì valorose milizie. Non vi fu paese che non fosse trascinato nella contesa di parte.

Dopo il prevalere dei Visconti, Lecco e le terre attorno divennero delicate zone di urto tra Venezia e Milano: molte famiglie si illustrarono durante la guerra tra i due Stati. Altre ancora, più avanti, all'inizio del secolo XVI parteggiarono per la Francia o per la Spagna.

Frattanto, si era consolidata ed era giunta al massimo fulgore l'industria del ferro che, esercitata certamente già dai Romani e fors'anche dai Galli, aveva trovato ricchi giacimenti di minerale negli alti monti del Varrone, cadute d'acqua per muovere i mantici dei forni e delle fucine nei torrenti valsassinesi, mentre nelle vallate lecchesi si erano sviluppate le piccole forge e le trafilerie. Possesso dapprima di antiche famiglie del luogo, Denti, Cattaneo, Rusconi, le miniere e gli edifici da ferro divennero nel 1500 miraggio di nuove potenti famiglie richiamate dall'allettamento economico tanto più sentito in quanto la dominazione spagnola andava portando miseria in ogni genere di attività, in quella agricola particolarmente; fiorirono così in ricchezza gli Arrigoni, i Manzoni, i Fondra, i Mornico, i Baruffaldi che si contesero la supremazia con ogni mezzo non rifuggendo dall'intimidazione e dai soprusi, tristamente di moda in quei secoli di decadenza.

Con i sovrani spagnuoli l'antica libertà locale venne in parte conculcata per la costituzione dei feudi camerali, dei Monti in Valsassina, degli Sfondrati sulla Riviera, degli Airoldi in Lecco; pure, le antiche forme di governo comune riuscirono a sopravvivere.

Per tali concomitanti ragioni, gli antichi equilibri familiari furono rotti. Diverse famiglie locali cercarono altrove potenza ottenendo a loro volta feudi e riconoscimenti; generalmente, però, mantennero costante contatto con i luoghi di origine, dove conservarono i possessi.

Il saggio governo austriaco ricondusse a poco a poco benessere e ordine nella zona, cosicché sul finire del 1700 vi troviamo nuovamente stabilità demica e familiare.

Purtroppo, il crollo dell'industria ferriera, rapidamente verificatosi nei primi decenni del 1800, fu il prodromo di un secolo di durezze, durante il quale si verificò un massiccio esodo particolarmente verso l'estero.

Il continuo spezzettamento della proprietà terriera non consentiva ormai di trarre mezzi di vita per una popolazione accresciutasi al di là delle possibilità agricole e silvo-pastorali del territorio.

Sino alla fine del XVIII secolo, il mutamento di casati nei vari paesi fu estremamente tenue. Se si toglie la scomparsa di alcuni per eventi eccezionali, quali la peste del 1630, o per trasmigrazioni dovute a un salire in potenza e in notorietà, si può affermare che pressocché ovunque gli «stati d'anime» rivelano la costante presenza per secoli delle stesse parentele. Ciò dipende dal fatto che, mentre le norme statutarie prescrivevano l'accoglimento nelle vicinie con formalità assai lievi, nella realtà i comuni furono sempre gelosi delle loro prerogative nel concederlo: solo quando il forestiero prestava servizi particolari si decidevano ad accettarlo per vicino. Non sono rari i casi in cui una famiglia rimaneva forestiera, pur vivendo e svolgendo la sua attività in posto, addirittura per generazioni!

Si può affermare che anche durante il 1800 nei piccoli paesi delle vallate e della Riviera gli eventi economici e politici non portarono a variazioni notevoli. Per Lecco, invece, intervennero due condizioni che provocarono, a partire dalla fine del 1700, un progressivo e sempre più accentuato rivolgimento demico: la prima fu l'abbattimento delle mura del borgo conseguente alla decisione del governo austriaco di abolire le fortificazioni; la seconda fu l'incremento via via più accentuato delle industrie del setificio e del ferro.

Accadde così che famiglie del territorio circostante affluirono a Lecco dapprima provenendo dalla vicina vasta pieve di Garlate, quindi dalla Brianza e dal Bergamasco.

Casati oggi tra i più diffusi in Lecco hanno perciò origine esterna: nomi antichi altrove sono relativamente recenti nella città: così i Dell'Oro e i Vassena originari di Valmadrera, i Riva di Garlate; gli Andreotti, gli Spreafico, alcuni Corti, i Bonacina di Galbiate; i Bianchi di Valgreghentino, i d'Adda, i Lavelli e gli Erba di Olginate; e sempre dalla riva destra dell'Adda, i Beretta, i Testori, Ì Frigerio, i Besana, i Ballabio, gli Spreafico, i Gilardi e molti Rusconi; Comi, ancora Corti, Bonaiti, molti Rota, Rosa, Grippa e Rigamonti dall'attuale Bergamasco e così via.

Né parliamo della massiccia immigrazione avvenuta nel secondo dopo guerra, che non solo ha quintuplicato la popolazione di Lecco città ma ha inciso anche su centri industriali minori quali Mandello, Dervio e Bellano e su località turistiche come Barzio e Cremeno.

Premesse le brevi notizie di cui sopra sull'evoluzione storico-sociale del territorio lecchese, diviene chiaro comprendere come la presenza costante di beni comuni, che possono considerarsi quali appendice dei beni privati di cui godeva ogni vicino, abbia fatto sì che sino dai più antichi secoli non vi siano stati nella zona quei contrasti sociali che si verificarono e si cristallizzarono nelle plaghe della pianura, dove il feudatario latifondista era padrone della terra e di fronte a lui stava il servo privo del tutto di possesso terriero. Qui, ogni vicino è proprietario e ogni vicino ha gli stessi diritti politici, qual che sia la sua situazione economica.

Gli stessi Capitanei, i Della Torre ad esempio, riscuotono le decime, ma queste non sono altro che il perpetuarsi, passato da dominio a dominio, dell'antico «vectigal» romano; le loro proprietà territoriali dirette sono dei tutto modeste. Quando si forma il libero comune come detto, perduto il possesso del «districtus», i nobili, provengano essi da «arimanni», «curtisii», «gentiles», «milites», «valvassores», «capitanei», si integrano nel Comune. Quale unico segno di distinzione essi mantengono nei documenti il prefisso signorile di «dominus» in latino, di «ser» o «messer» in volgare. Si può affermare che coloro che nei rogiti notarili anteriori alla metà del secolo XVI portano tali prefissi d'onore sono nobili e provengono da famiglie delle classi sopra indicate.

Dopo il 1550 avvenne abuso di tali distinzioni per cui si ricorse nella ricerca della nobiltà alla prova della vita «more nobilium».

Altro indizio di nobiltà sicura nei territori comasco e lecchese è l'impiego di stemma prima del secolo XVI. Mentre nei paesi nordici se ne impossessa il plebeo verso la metà del XIV secolo, nei paesi in questione solo i nobili ne fanno uso prima del 1500.

È quindi di grande interesse il Codice Carpani anteriore a quella data, conservato nel Civico Museo di Como e riferentesi a famiglie comasche e lecchesi. In ogni Comune del territorio si trovano due o al massimo tre famiglie nobili documentate prima del 1500, certamente in possesso nei tempi feudali di particolari «honores».

Gli Statuti comunali delle comunità del territorio, conservati nella versione del 1300, confermano forme assai liberali di governo. Ciò è comune agli Statuti della Valsassina, di Lecco, di Mandello, di Bellano, di Dervio. I primi sono quelli più democratici mentre, forse per ragioni di sicurezza della fortezza, il potere è ereditario negli antichi vicini di Lecco.

Circa la distinzione tra nobili e plebei oltre che quella dei prefissi, così la caratterizza lo storico Orlandi : «Citati per i primi fra gli intervenuti ai consigli di vicinanza; banco segnalato in chiesa; là il sepolcro gentilizio; case a logge con archi e colonnine, ingresso con androne coperto, sopra la porta un'immagine sacra e lo stemma; sovente all'interno cortili graziosi. Quanto al resto, i nobili si accontentavano della sovranità effettiva nel maneggio della cosa pubblica e nel predominio economico, escludendo forme esteriori di lusso che avrebbero suscitato antitesi troppo forti».

Lo stesso Orlandi precisa, e l'affermazione è provata sino alla metà del 1500, a differenza di altri luoghi : «Solo da famiglie nobili provengono notai e sacerdoti».

Come detto, nello scorso secolo la continua suddivisione delle terre portò la miseria e con quella molte famiglie nobili decaddero a rango comune, dimenticando addirittura l'antica non volgare origine. Si salvarono solo quelle che cercarono altrove nuove ragioni di vita o che in loco seppero mantenere sufficienti possessi.

Fortunatamente, dopo la prima guerra mondiale, Lecco e il suo territorio iniziarono una graduale ripresa, che si accentuò dopo la seconda guerra, prendendo un ritmo vertiginoso che ha oggi condotto la città e le sue vallate a una floridezza che ha pochi paragoni: basti pensare che Lecco, ricca di industrie per la lavorazione del ferro che traggono la loro origine dall'antica tradizione ferriera, salita dalle poche migliaia di abitanti ad una popolazione di 40.000 anime, ha uno dei redditi medi più elevati del mondo, paragonabile a quello di Chicago. Né da meno sono Valsassina e Riviera che traggono benessere da un fiorente artigianato e da un grande impegno turistico.

A tanto vivace destino hanno contribuito lo spirito d'iniziativa, la laboriosità e la mente aperta di una gente che, non si dimentichi, è fiera di esempi di paesi montani che posseggono da secoli scuole per fanciulli e che dal 1500 hanno completamente vinto l'analfabetismo.

Si assiste così a un confortante fenomeno: se infatti la gran parte delle antiche nobili famiglie locali sono estinte o altrove perdute, i polloni dei rami cadetti vanno prendendo nuovo vigore e perpetuando una tradizione di positivo apporto sociale con lo scrivere nomi di secolare risalto su imprese che portano il frutto dell'operosità italiana fuori confine.

Nelle esposizioni che seguono, non sempre equilibrate in quanto di casati minori le notizie a disposizione sono state talvolta più abbondanti di quelle riguardanti famiglie di maggiore notorietà, abbiamo indicato solo le fonti principali, attenendoci ad elencare i casati presenti nel territorio prima del XVII secolo. Nel descrivere poi le armi, abbiamo cercato di limitarci a quelle che vennero effettivamente impiegate dalle varie famiglie, senza ricorrere a quelle conosciute per rami dello stesso nome ma forse di origine totalmente staccata. Siamo perciò ricorsi sia agli stemmi tuttora esistenti su case di antica proprietà sia agli stemmari locali di diverse epoche.

Il materiale documentario è stato tratto dagli antichi testi storici milanesi, dall'Archivio di Stato, particolarmente dai fondi notarili, nonché dall'Archivio di Como e dall'Archivio Pensa dove sono raccolti molti documenti valsassinesi e della Riviera.

A maggior chiarimento si ricorda che:

1) L'attuale Lecco comprende gli antichi comuni di: Acquate -— Belledo — Castello — Chiuso — Germanedo — Laorca — Lecco — Maggianico — Olate — Pescarenico — Rancio — San Giovanni.

2) La Valsassina, a sua volta, era formata dai comuni di: Bajedo (ora frazione di Pasturo) — Barcone (frazione di Primaluna) — Barzio — Bindo (frazione di Cortenova) — CasargoCassina — Concenedo (frazione di Barzio) — Cortabbio (frazione di Primaluna) — CortenovaCrandolaCremeno — Indovero (frazione di Casargo) — IntrobioMargnoMoggioPasturoPerlasco — Pessina (frazione di Primaluna) — PrimalunaTacenoVendrogno che con i villaggi di Mornico — Sanico — Comasira formava la Muggiasca — Vimogno (frazione di Primaluna).

Appartenevano ad essa pure: Perledo che con diversi villaggi, tra cui Bologna e Tondello, costituiva il Monte Varenna—Esino, ambedue nella omonima valle; Pagnona e Premana poste nell'alta Valvarrone.

3) Mandello comprendeva vari villaggi, principali dei quali quelli di Tonzanico — Linzanico — Abbadia — Borbino — Olcio — Crebbio — Molina nonché Lierna.

4) La Riviera era costituita da VarennaBellanoDervioCorennoDorio —, su cui insisteva la Valvarrone inferiore con Sueglio — Vestreno — Introzzo — Tremenico.

Nell'indicare le armi effettivamente impiegate da ciascuna famiglia si è tenuto il maggior conto del Codice Carpani, quattrocentesco, conservato nel Museo Civico di Como e testé riprodotto, con grande perizia e accuratezza, in ottima veste tipografica da Carlo Maspoli di Lugano: sì può affermare che almeno un ramo delle famiglie di cui lo stemmario porta l'arma fu di nobiltà antica o generosa. Si è poi utilizzato un singolare stemmario conservato nel Museo Civico di Lecco, in cui Rodolfo Pezzati riprodusse le armi ancora dipinte o scolpite su case valsassinesi nel 1907. Si è ricorsi infine a notizie del Crollalanza e agli stemmari lombardi Bonacina e Bianchi conservati nell'Archivio Vallardi. Nel 1700 non vi fu praticamente famiglia nel territorio, di una certa notorietà, che non ambisse effigiare l'arma sul portale della propria abitazione. Sia consentito però chiudere questa breve esposizione con il riportare un motto scritto sotto un antico stemma valsassinese che si vedeva ancora dipinto su una casa della valle qualche decennio orsono : «Ad vetustatem non ad superbiam». Il suo significato si addice infatti profondamente a una nobile classe di famiglie che si distinse per secoli non per la volontà di dominio ma per la positiva civile fattività.