Il nostro linguaggio (2)
Pietro Pensa, Il nostro linguaggio (2) da Il Corno, 1980.
Appena usciti dal Medioevo linguistico, i nostri dialetti avevano, soprattutto nelle zone interne montane, una fonetica derivata dal fondersi di quelle delle lingue dei popoli che si erano sovrapposti l'uno all'altro nel corso di oltre tre millenni di storia. Possedevano, poi, una glottologia consona alla tipica mentalità dell'ambiente, ossia al modo di vedere e di sentire il mondo montanaro che non conosce altro che se stesso.
Nel nostro antico vocabolario valsassinese, in quello delle valli del Liro e del Livo, e ancor più in quello della Valcavargna, si trovano infatti termini che esprimono cose e fatti non secondo il concetto base, ma attraverso gli aspetti o gli effetti, con traslati, cioè, comprensibili solo ai parlanti locali. Così, ad esempio, da noi la valanga è chiamata « vendul » che, in celtico, significa « la bianca », così in Valcavargna la Madonna vien detta « Salmìna » perché le si cantano i salmi.
Il vocabolario, formatosi con elementi di diversa provenienza lungo i secoli, assumendo caratteri propri del luogo, venne così a costituire una vera e propria lingua, atta ad esprimere un mondo eminentemente rurale, pastorale, biologico, lontano dagli astrattismi scientifici e filosofici delle scuole, ben diverso, insomma, dalle parlate ufficiali. Como, i porti lacuali toccati dal grande traffico imperiale, le stazioni delle strade transalpine, saranno i primi a risentire, ma con lentezza, gli influssi di queste ultime.
La ricerca dei passato nei nostri dialetti risulta quindi complessa, ma assai ricca di riferimenti. Dobbiamo pensare che ben cinque lingue, molto diverse tra loro anche se talora aventi radici indoeuropee comuni, vennero a sovrapporsi. I termini che maggiormente ne rivelano oggi la presenza, con la loro forma meno contaminata, la dialettale, sono contenuti nei toponimi, ossia nei nomi dei villaggi e delle località maggiori. È da osservarsi infatti che le denominazioni di abitati di notevoli dimensioni, di monti e di torrenti importanti, interessando per la loro individuazione un ampio circondario di gente, subirono sì nel tempo lente modificazioni fonetiche, ma diffìcilmente vennero mutate. I toponimi dei luoghi minori, viceversa, che riguardavano piccoli gruppi di persone, subirono anche cambiamenti completi, tanto che la maggioranza è oggi neolatina. Nelle ricerche, che consentono quasi sempre di stabilire quali furono i primi abitatori e sovente di individuare chi a loro si aggiunse, spiegando varietà di carattere e di folclore di villaggi anche vicini, con deduzioni mirabilmente coincidenti, quando ne è possibile la riprova, con ritrovamenti archeologici, occorre tuttavia tener conto di frequenti anomalie. È da segnalare, ad esempio, un fenomeno, per lo più ignorato dai linguisti, che in un succedersi di idiomi come da noi verificatosi è da considerarsi con estrema attenzione. Gli studiosi, infatti, stabilite le regole fondamentali che governano le mutazioni consonantiche e vocaliche, sono usi cercarne l'applicazione, vorrei dire matematica, in ogni termine sottoposto alla loro analisi. Se ciò è possibile in una lingua che si evolve naturalmente mantenendo la sua individualità, la situazione muta invece sostanzialmente quando essa è sopraffatta da altra parlata. Si verificano allora casi imprevedibili: allorché un termine della prima attraverso le sue modificazioni fonetiche viene ad assomigliare ad uno, pur di tutt'altro significato, della nuova, nulla di più facile che questa se ne appropri, travolgendone il senso. Ecco qualche esempio: Come tutti sanno, il ponte che si incontra venendo da Lecco in Valsassina dopo Laorca è chiamato « ponte della Gallina », dialettalmente « punt de la Gaina ». Il nome originale di quel luogo dovette essere « Gaena », in cui « Ga », celtico, significa « sito », ed « ena » preindoeuropeo mantenuto però dai Galli, corrisponde ad « acqua ». « Sito di acqua », dunque; nulla a che fare con una ipotetica gallina, che taluno ha addirittura effigiata sul ponte e talaltro ha cercata nella sacralità del bipede presso i Longobardi! Altro caso del genere: sopra Bellano vi è una località rocciosa; altra, più tormentata ancora, si trova a Lezzeno di Bellagio. Ambedue venivano chiamate in dialetto « Grusgall »; il nome si trova in vecchie carte ed è un composto celtico, il cui primo etimo significa « roccia », il secondo « località ». Ebbene, mentre a Lezzeno il toponimo si è mantenuto, a Bellano si è trasformato in « Crus del gali ». Si è recentemente messa anche una croce in luogo! Un secondo fenomeno, molto significativo, si manifestò poi sovente con il sovrapporsi di lingue diverse: quello della tautologia, ossia del ripetersi di due radici di ugual significato, ma di differente idioma. Anche qui chiarirò con esempi. « Varigione », dialettale « Varigiun », contiene, uno accanto all'altro, i due etimi « uar » e « igg », il primo ibero-ligure, il secondo celtico, aventi lo stesso significato di « acqua ». La località è ricca di sorgive. Analogamente, unica presenza di acqua sopra Bellagio si aveva ad « Aureggio », dialettale « Uregg »: le stesse precedenti radici, diversamente modificatesi nel tempo. Altro esempio, infine, è dato da « Tonzanico », dialettale « Tunzanek », che ripete due volte, trasformata diversamente dai diversi due popoli la comune radice « dun » significante « villaggio cintato », dai celto-liguri prima, dai Longobardi germanici poi. Premesse le avvertenze sopra esposte, esaminiamo ora, per sommi capi, il succedersi delle lingue nel nostro territorio e i resti glottologici che ci hanno lasciato. Sappiamo che i primi abitatori, inizialmente palafitticoli, spostatisi via via, in seguito ai disboscamenti e allò svilupparsi dell'allevamento degli animali, sui monti e nelle valli, furono di razza mediterranea, con presunta provenienza da occidente, dalla penisola iberica all'arco marittimo della Liguria e quindi alla Lombardia. Della loro lingua, diffusasi in una larga fascia dell'Europa, sono rimaste importanti sopravvivenze nella lingua basca e in dialetti caucasici. Vari termini sono addirittura giunti ai nostro dialetto di oggi; basti segnalare: « bore (tronco); breva .(vento); brik (picco); fole (ascia); malga (crescere le mandrie); legur (lepre) »; altri ancora, più attinenti al nostro folclore: « baite e baitei (baita); alp (alpe) ». Il maggior interesse, però, è dato da quelle radici che si sono congelate in toponimi, poiché ci danno la sicurezza di una provenienza diretta e non attraverso intermediari, quali potrebbero essere stati gli stessi Romani. Il più caratteristico di tali etimi è certamente « bar », che noi troviamo nel vocabolario basco a significare « stabile pastorale », accanto a « baroki » o « ovile » e a « baro » o « agnello ». Mentre: tuttora nel nostro dialetto « barr » è il montone e « bareh » rappresentai il recinto per le pecore, troviamo antichissimi toponimi di nostri villaggi impostati sulla radice « bar ». Citiamo: «Bars» (Barzio); « Barch » (Barco); « Barcun » (Barcone). Altri, poi, hanno la stessa radice, trasformatasi, per le note leggi, in « par » e « per ». Così: « Perlèe » attraverso un « Barlèe », o « piccoli ovili » ben adatto alla località; così: « Perlasch », toponimo interessante sul quale torneremo. Altro importante etimo ibero-ligure, che interessa particolarmente i Premanesi è « uar », o « var ». Sempre nel vocabolario basco, noi troviamo: « ur » acqua nel senso più generale; « uar » torrente; « urgune » luogo ricco di acque e anche sorgente. Nella vostra valle « varun » è adoperato come « torrente », così come « dora » in Piemonte.' Molti altri toponimi che si fondano sulle radici esposte spno facilmente individuabili sul nostro Lario: Varenna, Laorca, Valorga.
Ulteriore etimo diffusissimo ;in tutta Europa, di origine iberica ma largamente assunto e diffuso dai Celti, è « dun », che; mantenuto in inglese e in tedesco è tuttora vivo in quelle lingue con « town », cioè « città » e con « zaun », ossia « recinto ». Il significato originale di « dun » era « villaggio cintato a difesa ». Moltissimi i toponimi che ne vennero, dell'importanza di London » (Londra), della complessità di « Bellinzona ». Non meno frequenti sul* Lario, i nomi di villaggio che contengono il « dun », lo vedono quasi sempre composto con altra radice indoeuropea e foneticamente anche profondamente modificatosi. Abbiamo così: « Dung (Dongo); Gravedpna; Risciunek (Rezzonico); Cardàn (Cardano); Tunzanek (Tonzanico); Somadin (Somadino) ».
Mentre mi riservo di estendere la mia ricerca ai toponimi minori di Premana di cui otterrò presto l'elenco, ricerca che potrà dare sorprese, così come me le ha date in altri luoghi, e mi basti citare l'etimo « nava », che il vocabolario basco spiega come « depressione tra due versanti ! di montagne», etimo presente in condizioni corografiche tali, sia a Pasturo che in Muggiasca, sia in Val Menaggio che in Alto lago occidentale, desidero, prima di concludere sulla prima lingua dei nostri antenati e di passare a quella celtica, citare un'ultima voce, assai significativa.
In molti toponimi, infatti, nonché in formazioni aggettivali, appare « ask »: lo troviamo in « Perlasch » e in « Mugiasca », così come in moltissimi sostantivi e aggettivi possessivi di cui può essere esempio « Bergamasco ». Ora, etimi del genere sono tipici delle "regioni pirenaiche, dove gli antichissimi Aquitani erario gli Auschi, i Baschi gli Uaschi e dove in molti toponimi è .frequente la radice. Aggiungo, poi, che una vetusta lapide trovata ad Ossuccio ricorda le divinità tutelari della tribù degli « Ausichiati », di origine ibero-ligure. « Asco », dunque, va inteso nel significato di « gente »: gente pastorale in Parlasco; gente degli abitati rurali (mag) in Muggiasca.
E vi dò ora appuntamento alla prossima volta per cercare con Voi il significato di « Premana », promettendovi di non ricorrere, per spiegarlo, alla storiella dei vostri vecchi che volevano attribuire la fondazione del paese a « ol Prevet e l'Ane», a un prete, cioè, e alla sua serva, primi abitatori di Premana!