Il nostro linguaggio

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, Il nostro linguaggio in Il Corno, 1980.

La parlata è uno specchio del popolo: ne rivela, dalla fonetica dura o gentile, la rudezza e l'amabilità; ne indica l'intelligenza dalle forme grammaticali e sintattiche; ne misura la semplicità o complessità di vita e di pensiero con la minore o maggiore ricchezza lessicale; ne denunzia i rapporti con altre genti grazie alla spia di parole e di concetti da quelle acquisite. Il linguaggio, infatti, è una espressione dell'uomo di estrema e incontenibile forza: fermarlo nel suo evolversi e coagularlo è impresa più che dissennata, impossibile.
Ci si provò il fascismo, facendo soffrire noi poveri studenti di allora posti sotto% accusa al minimo « francesismo » che ci sfuggisse, ma la reazione del dopoguerra fece giustizia dell'insano tentativo tempestando di « anglicismi » la ormai dimenticata lingua di Dante, del Petrarca e del Manzoni.
Oggi la Russia ripete l'esperienza, ma i termini nuovi, suggeriti dalla sofisticata tecnica americana e dalle libere mode dell'Occidente, rimbalzano di là dal muro di Berlino per testimoniare il destino dell'uomo a ritornare all'unica parlata rotta dalla maledizione di Babele.
L'amico Bellati sogna di notte di poter chiudere in una torre d'avorio il vostro dialetto ma so che già qualche gentile vostra ragazza ride e finge di non capire, di là dal banco di un negozio, allorché un vostro compaesano che da tempo dimora altrove, tornando in visita al paese per non mostrarsi « foresto » chiede tre etti di "bedul" !
L'irruente vitalità di Voi premanesi che ormai avete rapporti d'affari di là dalle frontiere, assorbirà presto da fuori il buono e purtroppo il cattivo.
Il ponte nuovo sul Varrone è stato il simbolo del ben più largo ponte che porta alla terra ferma « l'isola sul monte », verso una parlata a tutti comune.
Della violenza e della rapidità con cui muta un linguaggio io ho avuto esperienza quando, subito dopo la prima guerra mondiale, il dialetto del mio paese, molto simile al vostro di un tempo, è stato investito dal flusso dei milanesi che venivano quassù in villeggiatura. Nel corso di cinquant'anni ogni forma antica scomparve e oggi neppure gli uomini della mia età ricordano la parlata di quando erano fanciulli.
(D'altronde, esaminando un vocabolarietto di un vostro compaesano, mostratomi tempi addietro, constatai che molto di nuovo già alla fine del secolo scorso era entrato nel Vostro dialetto).

Mentre, dunque, ben corra e si trasformi il linguaggio con il mutare della nostra vita, è bene, però, salvare, documentandolo, il ricordo di quanto è stato, a testimonianza della straordinaria capacità dei nostri piccoli nuclei di gente « nello svolgere una loro evoluzione culturale e sociale », senza aiuti da fuori e con difficoltà anche di comunicare fra loro.
Da un paio di anni mi sto occupando della materia e ho esteso, anzi, le mie ricerche a tutto il Lario, trovando nelle vallate più remote e quindi più conservatrici, e vi cito per tutti i nomi di Cavargna, e di Garzeno, relitti molto simili di archeologia linguistica che, raffrontati a quelli del vostro dialetto e a quelli trovati in piccoli lessici dei miei antenati, mi stanno aiutando addirittura, e vi illustrerò come, a formulare ipotesi su storia e preistoria.

Come io vedo lo studio dell'archeologia dei ritrovamenti in tombe, non nella ricerca delle forme, ceramiche e armi ed oggetti che siano, ma nelle indicazioni deducibili su presenza, attività e costumi di popoli, così nell'esame dei dialetti reputo interessante soprattutto cercare le origini e il significato di parole sopravvissute, atte a rivelare provenienze antiche e realtà ora perdute. (Le indagini sulla fonetica e sulla sua evoluzione, sul mutare cioè dei suoni nel tempo, motivo delle tesi di laurea oggi di moda nelle università, possono essere utili per raggiungere a ritroso le forme originarie, ma non oltre).

Quanto soprattutto conta è interpretare i significati attraverso l'etimologia. Mi son reso conto che per giungere a ciò serve assai più indagare in lingue quali il basco, il gaelico, l'inglese e il tedesco che nel latino.
Non bisogna, naturalmente, cadere in paradossi come fece nel 1800 il Monti, mettendo insieme un vocabolario dei dialetti comaschi in cui per ogni nostra parola trovò un corrispondente nelle lingue celtiche dell'Inghilterra!
Soluzioni ingegnose, di cui vi diede qualche esempio il vostro A. Codega (che volontieri vorrò conoscere), ma che sono proprio tirate per i capelli e quindi errate.
Di come si possa incorrere in interpretazioni false, anche quando appaiono ovvie, voglio darvi un esempio nostrano. Un tempo, quando voi volevate dire di uno che viaggiava sempre, impiegavate l'espressione, « al va e al ve de Madrin ». La cappelletta, che, sorgeva là dove giungendo appare alla vista Premana era denominata « ol gergiol de Madrin », come a dire « il gesuolo dell'emigrante »!
Già alla fine del secolo scorso si pensò che « Madrin » stesse in luogo di «Madrid». Ma in quella città l'emigrazione fu sempre quasi nulla, anche nel 1500 e 1600. I nostri fabbri andavano a lavorare a Venezia, dove eran molto richiesti, non in Spagna, paese di remotissima tradizione ferriera che bastava a se stessa: i documenti lo provano (.« madrin » ha ben altro significato; i vecchi di Vegna di Cavargna, vi diranno ancor oggi che « madeé» e « madrée » vuol dire « strada » e « madrin » vale « pista » e « sentiero ».
Non solo: quando io ero ragazzo a Esino, e ritengo che lo stesso fosse a Cavargna, in quantocchè diffuso sino in Canton Ticino, una pista battuta nella neve era detta madrée ». « Andar per strada », e « Cappella di chi va per strada », dunque, le espressioni già citate.
Potrei, poi, ricordare tanti e tanti nomi che, attraverso successivi piccoli mutamenti sono stati in un certo momento, addirittura italianizzati, prendendo un significato del tutto diverso dall'originale di simile suono. Così, qualche ingenuo studioso è giunto a ricorrere a un panificio, o a un allevamento di cavalli o a un mostruoso essere per spiegare i toponimi di villaggi preistorici quali Prestino e Cavallasca del Comasco e Laoroa del Lecchese!
Ma di ciò vi scriverò ancora, entrando nel vivo dell'appassionante argomento dopo queste premesse, un po' lunghe ma necessarie.