Assedio del Medeghino in Lecco

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Articolo di Pietro Pensa da Pagine di vita lecchese, 1959-61, pp. 33-53.

L'ACCERCHIAMENTO DEL BORGO
Volgevano ormai due mesi e la guerra che Francesco II Sforza, duca di Milano, alleandosi a Svizzeri e Grigioni, aveva intrapreso l' 8 maggio 1531 contro Giangiacomo Medici detto il Medeghino, marchese di Musso e conte di Lecco, per recuperare i territori di cui quello si era impossessato con l'astuzia e con la forza approfittando delle tumultuose vicende dell'ultimo decennio, non accennava ad alcuna rapida soluzione. Il calcolo di aver presto ragione dell'avversario grazie alla disparità delle forze in campo si mostrava, per molte ragioni concomitanti, non ultima certo l'abilità diplomatica e la decisione nella lotta del Medeghino, un'illusione. All'aprirsi delle ostilità, il Medici si appoggiava sui tre punti fortificati di Musso, di Lecco e di Monguzzo, mentre la sua flottiglia, equipaggiata e comandata da uomini ben preparati, scorrazzava nell'alto e nel medio lago e lungo il ramo di Lecco. Il piano strategico ducale era stato quello di distruggere innanzitutto l'armata navale, sloggiando il nemico dai paesi rivieraschi e togliendogli in tal modo la possibilità di rifornire le fortezze di Musso e di Lecco che, strette da assedio, avrebbero poi dovuto capitolare. Tale proposito si era infranto contro la superiorità dell'avversario sull'acqua, tanto che, dopo aver subito numerosi rovesci, la flotta ducale si trovava costretta alla difensiva e doveva farsi proteggere dalle truppe di terra per non essere a sua volta annientata. Fallito il primo piano, i Ducali avevano concentrato i loro sforzi contro la fortezza di Monguzzo in Brianza, che il nemico avrebbe potuto far centro di una irradiazione verso il Milanese ove avesse ricevuto i rinforzi mercenari che cercava di ottenere nel Nord. L'assedio, appoggiato da artiglierie e condotto da forze preponderanti, si era trascinato a lungo ed aveva dato luogo ad attacchi infruttuosi, i quali avevano raggiunto il risultato di mettere in risalto presso le varie Corti l'incapacità ducale. Sin che, nella notte del 2 luglio 1531, alla vigilia dell' assalto che avrebbe dovuto essere il definitivo, il comandante medeghino Pelliccione si era abilmente sottratto all'accerchiamento, riparando indisturbato in Lecco. L'episodio aveva inquietato fortemente Francesco II che si trovava così coperto di ridicolo.
Lasciato in Monguzzo un presidio al comando del capitano Savana, il colonnello Gonzaga, comandante delle forze milanesi, condusse le sue truppe a Givate, portando con se i cannoncini. Lasciò nella fortezza conquistata l'artiglieria grossa, data la strettezza del cammino; gli esperti del luogo avevano precisato che ir marchese di Pescara e tutti coloro che avevano nei tempi passati portato cannoni a Lecco, avevano seguito la via di Olginate; se in seguito si fosse presentata la necessità, si sarebbe scelto tale percorso.
Avuta notizia che ventidue cavalieri provenienti dal Bergamasco erano entrati in Lecco il 6 luglio, il capitano Sebastiano Picenardo era stato inviato ad Olginate nella notte del 9 per bloccare un eventuale passaggio del nemico.
Giunto 1' 11 luglio a Civate, il Gonzaga si affrettò a chiedere del piombo a Milano e una cinquantina di guastatori, mentre ordinava ai capitani di portare al completo le compagnie, secondo istruzioni avute dal Duca. Risultava che la via di Lecco, al di là dell'Adda, era sbarrata dal caposaldo di Chiuso. Ivi, in precedenza si trovavano una trentina di Italiani del Medeghino; il Marchese li aveva poi sostituiti con dei Lanzichenecchi, mettendoli ai ferri sull'armata, già che si erano rifiutati di andarvi di proprio talento.
Intanto, il Duca riuniva a Varese lo Speciano, il Sauli, il Rizio, il Marinóno, il Gastellazzo e il Brebbia a consiglio. Venne deciso di cingere Lecco di assedio e di obbligare il nemico ad abbandonare Mandello.
Le esplorazioni misero in rilievo l'opportunità di porre un accampamento a Malgrate e uno al di là del fiume, a Castello. In tal modo si sarebbe potuto circondare il borgo. Fu però subito evidente la grande importanza del ponte che avrebbe facilmente permesso al nemico di sconfinare nelle terre circonvicine per rifornirsi di cibo. Il Gonzaga stabilì quindi di lasciare, mentre le sue truppe avrebbero attraversato il fiume, 200 armati a Civate, dando istruzioni perché i terrieri li avvisassero con campane a martello in caso di sortita del Medeghino. Dopo essersi fortificato nei nuovi accampamenti, li avrebbe chiamati a Malgrate.
Il giorno 13 di luglio una cinquantina di archibugeri al comando del capitano Bastiano si spinsero sin sotto il ponte, ma lo scontro si risolse in uno scambio di colpi di arma da fuoco (5). Il 28 di luglio il Bentivoglio si recò a Civate dove venne deciso il passaggio dell'Adda per la sera seguente. Fu anche stabilito che dopo l'accerchiamento di Lecco si sarebbe provveduto a occupare Mandello.
Alle 2 di notte del 29 iuglio venne iniziato l'attacco. Il capitano Accorsino, forte di quaranta fanti, attraversò l'Adda e attaccò il presidio di Chiuso, che si era fortificato in una casa. Vista l'impossibilità di respingere l'attacco, i Lanzichenecchi fuggirono su per i monti; due soli vennero fatti prigionieri. La via verso Lecco era così libera e sul far del mattino già tre compagnie si accampavano a Castello. Aveva còsi iniziò l'assedio di Lecco.

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