Altro che le moderne cure dimagranti: nel "menu" polenta e ancora polenta

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, Altro che le moderne cure dimagranti: nel "menu" polenta e ancora polenta in L'Ordine, 27.7.1979.

Il pane bianco era una specie di rarità che si concedeva solo ai moribondi e alle partorìenti - I prestinai non esistevano - La bistecca veniva mangiata solo quando qualche mucca cadeva in un dirupo - Il primo tritacarne che fece la sua comparsa in paese

In quasi tutti gli antichi statuti delle comunità del Lario, aggiornati sul finire del 1300 ma di formazione antecedente di un paio di secoli, si leggono precise norme che regolano l'attività dei prestinari; in quelli dei borghi più grossi della riva, anche dei beccari o macellai. In particolare, si precisa che il pane deve essere ben cotto e di buona farina di frumento. Dai molti atti notarili e di governo del 1400 e del 1500 è facile rilevare, poi, che non si trattava di norme messe lì a similitudine di quelle delle città, ma corrispondenti a una realtà di fatto: molti casi, infatti, di interessamento anche delle autorità ducali per il rifornimento di farine. Indizio, dunque, di un generale notevole benessere che, purtroppo, precipitò nel 1600, ebbe una ripresa nella seconda metà del 1700, per crollare di nuovo nel secolo scorso. Posso affermare che alla fine del 1800 solo nei ricchi borghi rivieraschi si sapeva che cosa fosse un prestino, nei villaggi minori lacuali e particolarmente nei paesi delle vallate il pane di farina di frumento era diventato un mito.

A dimostrare la miseria che regnava all'inizio di questo secolo tra la nostra gente, vale ripetere qui un breve episodio accaduto nel mio paese negli ultimi anni del secolo scorso e che ebbi occasione già di raccontare altrove: il pane bianco, lassù, era conosciuto soltanto quale ingrediente per preparare il «pancotto», che serviva da medicina ai moribondi e che faceva bene alle donne quando era vicino il partorire.

Un papà, dunque, è malato, non prende cibo, deperisce sempre più. La gente dice che forse un pancotto potrebbe ridargli un poco di forza. La mamma prende i centesimi rimasti nella casa e manda a Bellano la figlia maggiore per comperare una «mica» di pane. Mentre la ragazza è per la strada, il papà muore. La mamma allora fa rincorrere dall'altro figlio la sorella per dirle che la «mica» non occorre più e che ora i soldi ci vogliono per il funerale. Il ragazzo non giunge in tempo, incontrala sorella quando già è di ritorno sulla scalinata di San Rocco sopra il lago: «Il papà è morto, - le dice - torna indietro, fatti ridare il denaro che adesso serve per il funerale». Entrano insieme nel negozio, preoccupati dell'accoglienza del padrone. La ragazza, con la «mica» in mano, dice: «Il papà è morto: la mica non serve più e la mamma ha detto che i soldi abbisognano per il funerale». Poi abbassa gli occhi e guarda la «mica»; da quegli occhi sgorgano lacrime e cadono sul pane. Mentre lei, ancor più imbarazzata lo asciuga con la manica, il panettiere le fa cenno di tenèrlo, prende il denaro avuto dal cassetto e glielo rende: toglie poi dal cestone un'altra «mica», la dà al fratello e dice: «Tenete, mangiate e che vostro padre vi assista e che il Signore vi benedica tutti e due»! I bottegai di laggiù avevano fama in quel tempo di essere esosi e senza cuore; il gesto del panettiere prova quindi fino a qual punto commovesse la miseria dei nostri paesi vallivi.

Il nutrimento di ogni giorno era in quasi tutti i villaggi, anche in quello poco al di sopra della riva, estremamente semplice e purtroppo privo di tanti elementi necessari all'organismo. Durante l'estate si mangiava polenta di farina di granoturco mista a farina di fraina; la si accompagnava con un poco di formaggio magro o con insalata condita con l'agra, latte acido di cui abbiamo già scritto. Lungamente rimescolata sul fuoco e ben cotta, la polenta era durissima; quando era calda, la fetta veniva tenuta con una foglia verde nella mano durante il pasto. Nei mesi d'inverno il cibo più importante era dato da patate e da castagne, bollite in un caldaro, da minestra di latte e ancora da polenta e da formaggio magro.

Qualche casata più benestante possedeva il forno e ogni due settimane cuoceva pane di mistura con farina gialla mescolata a un poco di farina bianca. Era molto in uso preparare alla domenica l'orc specie di tisana di orzo, e il ravet, minestra di latte e rape. Venivan tenute in caldaro e consumate nei giorni successivi. Nei borghi delle rive più ricche, si mangiava carne e pesce; come per il pane gli Statuti antichissimi già regolamentavano l'attività dei beccari e dei pescivendoli, con tanto di calmiere di prezzi.

Nelle valli, invece, si disponeva di carne solo quando una mucca diroccava in un burrone, ossia andava a picch. Il malcapitato proprietario cercava allora di vendere quanto possibile a riva, mentre il resto, dato che gli incidenti capitavano sempre nell'estate, veniva bollito in fretta e furia e mangiato la sera, per consociarsi in compagnia.

Se a cadere in un burrone era invece una capra o una pecora, il proprietario tagliava in pezzi l'animale, li metteva in un mastello a salare, li infilzava quindi su bastoni che venivano appesi presso il focolare. La carne poteva così esser conservata sino all'inverno. Vidi anche tagliuzzarla con coltelli e farne dei crescenzin, o piccoli pani che salati eran messi a seccare.

Quasi ogni famiglia teneva il maiale. Quando, a fine stagione, sì macellavano era una festa. A sera parenti ed amici venivano invitati a mangiare le frattaglie in compagnia. Salami, cotechini, salsicce, erano squisiti, anche se talvolta un pezzetto di legno capitava sotto i denti! Rammento, in proposito il primo tritacarne che comparve nel mio paese. Lo comprò un furbo che fu conteso a passare da casa in casa per sostituire la faticosa paziente operazione di due uomini che, seduti battevano ritmicamente col coltello sui pezzi di carne per ridurla in poltiglia. Lui, pagato con salami, interrompeva di tanto in tanto il lavoro, affermando che nell'ingranaggio era entrato un nerv, scaricava dalla macchinetta quanto vi era dentro e lo buttava in un sacco come scarto, portandosi poi con sé carne per altri buoni salami!

Si può dire che il vino, salvo nei paesi più bassi in cui era coltivata la vite, fosse del tutto sconosciuto durante i pasti. In compenso, purtroppo, lo si beveva la domenica, all'osteria: gli organismi erano talmente debilitati dalle fatiche quotidiane che bastavano pochi bicchieri per ubriacare. La sera le povere donne dovevano andare a prendersi i mariti e a riportarseli traballanti a casa.

Come già scrissi, oltre che il vino, olio di oliva, pesci e missoltini rendevano a lago ben più sostanzioso il pasto. Sulle montagne la mancanza di vitamine rendeva più o meno patita la gente ed io ricordo ancora le tante e tante povere donne col gozzo.