Zenzinal, polenta uncia, miasce: quante variazioni su un unico tema
Pietro Pensa, Zenzinal, polenta uncia, miasce: quante variazioni su un unico tema in L'Ordine, 3.8.1979
Non per questo mancava la gioia di vivere. Pur con i modestissimi ingredienti a disposizione, le nostre nonne sapevano cucinare, nei giorni di grande festività, cibi succulenti. E' un vero peccato che qualche nostro ristorante locale non ne riesumi le ricette e ne offra la degustazione ai turisti. Sono certo che farebbe fortuna.
Per la mattina i granei, specie di polentina gialla, cotta così da essere tempestata da gnoechetti, e poi condita con burro fritto, ma anche annegata nel latte. Pure mattutino il zenzinal, pasticcio di polenta contenente formaggio fresco che fila.
Poi, la consciade o polenta uncia, messa in recipiente in larghe cucchiaiate alternate a fette di formaggio magro e quindi cosparsa di burro ben fritto. Ottime la mose e la taragne, polente cotte la prima con farina nera nella panna, la seconda con farina mista gialla e nera nel burro, ambedue arricchite di formaggio locale. Di gusto particolare la miasce, focaccia impastata con latte agro, resa aromatica con erba salvia ed erba di San Pietro e cotta tra due letti di brace.
Con la poca farina bianca ottenuta dai rari campi che sino addirittura a 1000 di altitudine si dedicavano a coltura di grano, si cuoceva il paradel, impastando con uova una focaccia bassa bassa; sorta di pizza, poi. era la filasceta dell'Alto lago.
Nel giorno di Santo Antonio era usanza preparare grossi ravioli imbottiti di trito vegetariano.
Non è a dire dei pesci: l'arte del cucinarli si è fortunatamente conservata. Tutti conosciamo la squisitezza dell'agone fritto del mese di giugno, l'acre gusto del missoltino condito con un po' di aceto rosso, l'acido sapore del pesce carpionato. In montagna di quelle prelibatezze non si sapeva. Giungeva sì, qualche rara volta, un pescatore a tentar di vendere per poco soldo qualche pesce, ma si sapeva che era pesce ormai guasto! In compenso, a primavera vi erano le tenere rane dei laghetti alpini. Quelle di Losa sopra Premana eran tanto celebri che un tempo ogni anno, per consuetudine e obbligo, ne venivano portate in dono all'arcivescovo di Milano.
E si saliva, a catturarne, persino al lago Darengo, alle sorgenti del Livo. Di notte, con la lanterna, si rompeva la crosta di ghiaccio vicina allo sgelo; la rana compariva nel suo colore marroncino, veniva subito presa e finiva nel sacco con le altre.
Vi erano, infine, le leccornie. Mele, pere e noci di mezza montagna erano squisite. Qualche paese aveva terreno ed esposizione più fortunati e allora non mancavano le invidie; furti, però, fuor che di ragazzi, non avvenivano. Poi, nei terreni comunali, si raccoglievano a sacchi le nocciuole.
Non era uso far marmellate, fuor che di sambuco. Se ne mettevano i grappoli in un gran caldaro e si cuoceva e si cuoceva per ore ed ore. Ne usciva il melet, nero come inchiostro, dallo strano sapore, che serviva a condire polenta e pane di mistura.
Zucchero non si sapeva che fosse; lo sostituiva, per i bambini e pei malati, il miele. Ogni famiglia che avesse un po' di orto presso casa teneva le api. Gli alveari erano primitivi, con arnie o busõi, di un metro e venti per trenta centimetri. Si toglieva il miele due volte all'anno nei paesi più bassi, una volta in montagna, usando il barbaro sistema di uccidere le api con il fumo.
Insomma, il gusto del mangiare vi era anche allora, pur con le gravi difficoltà per ogni cosa: persino per il sale che fu sempre la misura della nostra povertà, come meglio illustrerò più avanti. Gusto che consentiva di goder bene le feste importanti dell'anno, con un ricettario se non altro originale, anche alle famiglie meno abbienti. Fortunate quelle, poi, che avevano e vigne e crotti nelle terre che già Paolo Giovio decantava nel 1500. Ancor oggi impressiona visitare certe cantine dell'Alto lago di occidente, o quelle degli Andreani di Corenno o quelle di Dervio che vanno a tre ripiani sotto terra. Vien fatto allora di pensare che anche nel nostro piccolo mondo, pur sempre tanto avanzato in democrazia, non mancavan le ingiustizie. E prossimamente ne dirò, parlando di malanni e carestie.