Una volta l'ulcera si curava ingoiando una raganella viva
Articolo pubblicato da Pietro Pensa in L'Ordine, 31.8.1979
Medici, ve ne erano in verità già nel 1500, ma salvo che nei gran borghi della riva avevan sotto di sé un mucchio di paesi, che per andare da uno all'altro ci voleva anche una giornata di cammino. Tanto che trovai documenti di una lite tra Valsassina e Muggiasca perchè quest'ultima si rifiutava di pagare la sua quota affermando che quando il medico giungeva il malato era già morto!
Allorché finalmente il governo, nel secolo passato, provvedette alle condotte sanitarie, precipitò di colpo la mortalità, ma allora si i ebbe l'altro male dell'emigrazione, di cui già ho scritto, per il rapido crescer della gente.
I medici furono accolti da tutti con grandissimo rispetto e gran sollievo; posso dire, da quel che udii da mio padre che mai si diedero quei casi, che ancor oggi si lamentano in pianura, di donne che chiamano il dottore, ma poi ascoltano maghe e fattucchiere. Il fatto è che la nostra gente non fu mai ignorante, neppur sulla montagna, come dirò più avanti, aperta dunque ad accettare i consigli del buon senso. E i medici di un tempo scrivevan poche ricette, farmacie d'altronde non ve ne erano che poche sulle rive, ed anche loro adoperavano i rimedi più semplici e sapevano segreti delle erbe.
Io ricordo il primo dottore che venne nel mio paese, era un sardo, e poi il secondo che fu padre del generale Enrico Mino, il comandante dei carabinieri perito non è molto. E sentii tanto parlare del dottor Manzoni, della casata di Alessandro, che girava la Valsassina con un calessino sconquassato per la sua condotta e in ogni paese aveva una donna prosperosa per amica; lasciò molto rimpianto ed anche tanti figli, e morendo testò per ciascheduno.
Quando il medico mancava o ancora non vi era, si usavan dunque i rimedi trasmessi dal passato. Ne elenco qualcheduno, osservando, a detta di chi in materia è competente, come in essi vi sia un fondo di verità che, trascendendo dai pregiudizi, rivela un'arcaica sapienza.
Per bronchiti, mal di gola e mal d'orecchi, ci si affrettava a coprire la parte malata con lana grossa appena tosata, meglio se imbevuta a caldo con olio di noci. Durante l'inverno gli uomini usavano tenere all'altezza dei bronchi una pelle di capretto per difendersi dalle infreddature. La polmonite era curata con decotti di «lichen» raccolto in primavera sotto gli alberi di larice, meno ma pure, gli infusi di fior di tiglio e di latte bollente con un po' di miele.
Su tagli e ferite si applicavano ragnatele che aveva la virtù di fermare l'afflusso del sangue. Per artrite e reumatismi si mettevano sulla parte dolente radici di ranuncolo tagliuzzate; bisognava prestare attenzione però, che il liquido giallo che ne usciva non gìungesse ad impiagare. Acqua di malva per calmare, lardo applicato alle gengive erano le cure dei denti. Quando si prendevan botte alla testa, un po' di burro o di lardo e una moneta ben stretta con la benda evitavano «bernoccoli» grossi e tutti noi bimbi ne abbiamo esperienza!
Orzaioli e vescichette agli occhi venivan disinfettati facendo guardare «nel buco del cesso» che, posto direttamente sul pozzo nero, era sorgente di vapori ammoniacali. Decotto di fiori di sambuco in acqua di patate portava invece a suppurazioni ascessi e furuncoli. Le boccarole eran curate con un pizzico di sale, ma era ancor meglio applicarvi un po' di polenta appena cotta, che le cauterizzava.
Chi era affetto da ulcera dello stomaco trovava sollievo a ingoiar viva una raganella piccola di montagna. Per le contusioni era ottima l'acqua di arnica. Le slogature eran curate con pezze imbevute di latte di «agra» o di aceto, ma rimedio migliore era una massaggiatura di un esperto. Alcuni di questi eran celebri in tutto il territorio e da ogni parte correvano i pazienti. In una famiglia si passava l'arte da padre in figlio dal 1500 sino ai miei tempi e si diceva che avesse ancora la benedizione di San Carlo che era stato curato dal loro lontano progenitore di una distorsione avuta nel corso di una visita a uno sperduto abitato di montagna. Che fossero bravi davvero lo provai pur io, da giovinetto, dopo un infelice salto con gli sci. L'ultimo discendente se non erro, è oggi medico laureato!
Ricordo, infine, uno scritto del medico provinciale di Como del 1872, in cui quel bravo e sapiente uomo suggeriva ai medici sperduti nei villaggi un mucchio di medicine cavate dalle erbe. Precursore, dunque, degli erboristi oggi tanto di moda!
Per concludere, lego la saggezza dei nostri vecchi a quella dei cinesi che, come osservava con meraviglia un amico missionario, impiegano gli stessi rimedi a cui ho accennato.