Perché protettore di Premana è San Dionigi
Articolo di Pietro Pensa in Il Corno, 1979.
Non so, amici di Premana, se vi siete mai soffermati a chiedervi per quali ragioni il vostro santo protettore sia San Dionigi. 1 vostri parroci, presente e passati, vi avranno illustrato tante volte i grandi meriti di lui, i suoi miracoli, le sofferenze sopportate per la fede. Santo rispettabilissimo, dunque, e degno di venerazione; non certo, però, dal prestigioso nome di un San Pietro, né dell'autorità di un San Giovanni, né della notorietà di un Sant'Ambrogio, né, infine, della popolarità di un Sant'Antonio dal porcellino. Pure, la dedicazione antichissima delle chiese ebbe sempre motivi assai validi, permettendo di ricostruire situazioni storiche di cui non si possiede documentazione scritta e di cui si è perduta la tradizione. Cercherò, quindi, di esporvi tutti quei riferimenti che consentono di individuare, con buona probabilità di non incorrere in errore, i tempi in cui sorse la prima chiesetta di San Dionigi e di stabilire, di conseguenza, una importanza sinora insospettata di Premana.Quando, negli ultimi secoli dell'impero romano, i barbari avevano rotto il limes, ossia la linea difensiva creata per arginarli, e cominciavano a dilagare verso l'Italia e le Gallie, l'espertissima classe militare romana organizzò una nuova rete di arresto, ai piedi delle Prealpi. Vennero creati capisaldi lungo l'importante strada militare che da Aquileia, passando per Bergamo, Lecco e Como, attraversava tutta l'Italia settentrionale sino ad Ivrea, con torri di segnalazione comunicanti a vista tra di loro mediante fuochi notturni e fumate diurne. Da queste opere fortificatorie altre minori, addentrandosi lungo le valli, proseguivano sino ai passi alpini. Tra le più importanti fra di esse vi fu quella del nostro Lario, che, partendo da Lecco, giungeva sino in Val Chiavenna, con torri essenziali di segnalazione a Civate, allo Zucco di Abbadia, a Belfagio, a Dervio, a Gravedona.
Ad essa si collegavano la linea della Val Menaggio che conduceva al lago di Lugano e quella della Valsassina. Quest'ultima, affiancata alle strade che conducevano alla Valtellina, o attraverso la Bocchetta di Trona o attraverso Valcasargo e Valvarrone, aveva come stazioni più importanti Ballabio, Bajedo, Marmoro di Parlasco, Piazzo di Casargo.
Caduto l'impero, dopo il primo tu^ multuoso avvicendarsi di barbari, i Goti ripreso il sistema difensivo romano. Sopraggiunti poi i Bizantini, naturali eredi dell'Impero romano, l'antica rete fortificatoria fu incrementata, e soprattutto dovette essere rinforzata quando, calati i Longobardi dal Friuli e conquistata Milano nel 569 d.C, un contingente di Bizantini, sotto il comando di Francione, si arroccò e si pose a difesa per circa due decenni nel nostro territorio lariano, determinato da Como, da Lecco, da Colico e dalle vallate adiacenti.
In quei secoli, dai tempi di Ambrogio sino ai tempi longobardi, il Cristianesimo si andava organizzando: diverse chiesette, battesimali, erano sorte nei centri militari. La loro dedicazione era soprattutto rivolta a Santo Stefano e a San Vittore, santi detti appunto "del ciclo romano". Molto accetti per il loro martirio, si addicevano bene a subentrare alle divinità pagane care alla fantasia popolare. È da ritenersi che simile origine abbiano avuto la chiesa più antica di Lecco, ora scomparsa, dedicata a Santo Stefano, nonché le chiese di San Vittore di Esino, di Santo Stefano di Menaggio, di San Vittore di Porlezza.
Dopo il definitivo insediamento dei Longobardi sul Lario, la minaccia dei vicini Franchi che tenevano le vallate ora svizzere condusse i re a porre presso i confini, in località strategiche, gruppi militari di arimanni. Tali guerrieri stanziavano in abitazioni assai misere poco lontano da una torre o da un castello, vivevano col tributo di un terzo dei prodotti del suolo che veniva loro versato dalle popolazioni.
I Longobardi erano ariani, non credevano cioè nell'uguaglianza delle tre persone della Trinità. Dopo la morte di Alboino che aveva condotto i Longobardi in Italia, trascorso un periodo di interregno durante il quale si era avuta la resistenza di Francione, Autari, nominato re, dopo aver cacciato i Bizantini dal Lario, aveva sposato Teodolinda, principessa bavara cattolica. Faticosamente respinto un attacco dei Franchi nel 590 d.C, morto di malattia Autari, Teodolinda passò a seconde nozze con Agilulfo, duca di Torino. La grande regina ispirò la politica del regno, che, con fasi alterne, sarebbe continuata anche sotto i suoi successori. Cercò, cioè, data la irrequietezza degli infidi duchi longobardi ancora ariani, di creare centri militari cattolici fedeli alla corona. Coll'aiuto di Gregorio Magno, grande pontefice, venne così condotta un'opera missionaria, molto sovente con religiosi stranieri, nell'interno stesso dei centri arimannici dove furono costruite chiesette dedicate a santi tipicamente antiariani. Presso i cimiteri di tali centri, poi, sorsero cappelle che, per la grande devozione rivolta all'arcangelo Michele quale pesatore delle anime, vennero a lui dedicate. Altri santi cari ai Longobardi furono San Pietro, detentore delle chiavi del cielo, San Giorgio, santo dei guerrieri. La Triade dei santi antiariani per eccellenza era quella di Ambrogio, arcivescovo di Milano, di Eusebio, arcivescovo di Vercelli, di Martino vescovo di Tours. A tali santi va però affiancato, diciamo pure a pari merito, San Dionigi. Come si sa, questi dopo la sinodo milanese del 355 a cui erano intervenuti 300 vescovi, non avendo voluto sottoscrivere alle formule ariane proposte dall'imperatore Costanzo, venne inviato in esilio in un villaggio montuoso di Cappadocia. Con lui era stato espulso Eusebio di Vercelli, mandato a Scitopoli di Palestina. In Milano si era insediato il vescovo ariano Aussenzio, il quale non conosceva neppure il latino, lingua dei suoi fedéli. Morto Dionigi verso il 375 sempre in esilio, divenuto arcivescovo di Milano Ambrogio, questi mandò una legazione a San Basilio vescovo di Cesarea di Cappadocia, pregandolo di rendere a Milano la salma venerata di San Dionigi. Perasio, ambasciatore eloquentissimo: dei Milanesi, riusci ad ottenere la cessione del feretro che, nonostante le lacrime di coloro che lo detenevano, venne trasportato a Milano. Si ritiene che l'avvenimento si sia verificato mentre ancora Sant'Ambrogio era in vita. Tralasciando un esame più vasto, limitiamoci ora ad elencare le chiese del nostro territorio orientale del lago sorte In località in cui è provata oppure e molto probabile l'esistenza di opere e di centri militari longobardi. Dedicata a San Michele è l'antica parrocchiale di Introbio circondata da un cimitero, poco lontana dall'imbocco fortificato verso Biandino e Trona gesuolo ricco di reminiscenze longobarde è poi San Michele sul Barro, di fronte a Lecco. A San Martino è consacrata la chiesa plebana di Perledo, attorno a cui aleggia ancora il ricordo della regina Teodolinda. Al santo sono dedicati, inoltre, due gesuoli nell'anfiteatro lecchese, forse, però, di origine franca. Longobarda, invece, riteniamo la chiesa del Monte Introzzo, presso Sueglio, cosa come Longobarda era probabilmente l'attuale parrocchiale di San Giorgio in Creimene forse anticamente battesimale; pure a San Giorgio fu dedicata la prima plebana di Bellano, che giudichiamo longobarda, mentre quella di Varenna di pari titolazione sorse più tardi, preceduta dalla chiesa di San Giovanni che la tradizione dice eretta da Teodolinda. Portano il nome di Sant'Ambrogio e sorsero presso fortificazioni le chiese di Bologna di Perledo, ora distrutta, e quella di Lierna in diocesi di Como. A Santo Eusebio è dedicata la parrocchiale di Pasturo, nella corte longobarda presso cui sorgeva la rocca di Baiedo. Molti, infine, e non le enumero, sono gli edifici sacri di analoga titolazione nel restante territorio del Lario. Giunti qui, viene naturale proporre la primitiva chiesa di San Dionigi di Premana come chiesetta antiariana posta presso uno stanziamento arimannico, a similitudine di quanto probabilmente avvenne in località quali Carcano presso Erba, Merate e Cuasso, tutte con chiese dedicate a San Dionigi. Un notevole indizio conforta l'ipotesi. Passata la Valsassina in dominio all'Arcivescovo di Milano e infeudata da questi ai Torriani, dopo varie vicende la chiesa milanese cedette i territori di sua proprietà, mantenendo a suo favore una decima e tributo, diversa da luogo a luogo e tanto più grande quanto maggiori erano stati i diritti ereditati dai precedenti dominatori, longobardi e franchi. Massimo fu il tributo dove sorgevano fortificazioni, come in Baiedo, 'in Marmoro di Parlasco e in Pagnona, altissimo dove esistevano le antiche corti di raccolta dei prodotti del suolo che le popolazioni versavano ai dominatori in proporzione del terzo. Ora, tra le decime più elevate è quella di Premana, da allinearsi a quelle di Pasturo, di Cortabbio, di Bindo e di Casargo, tutte corti longobarde. Concludiamo, così, ponendo l'ipotesi che Premana sia stata una corte, o sala di arimanni. A convalidare ulteriormente la mia congettura potranno forse servire nomi di località di origine longobarda, quali "Gaggio". Vedrò di farne un'indagine al prossimo incontro con qualcuno di voi, cari amici. Penso che ne valga la pena, perchè mi sembra che l'argomento dia una bella luce sul passato di Premana. Concludo, augurando a tutti voi una felice Pasqua!