Lecco e il suo Lago nel quadro della guerra decennale contro Como

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Articolo di Pietro Pensa da Pagine di vita lecchese, 1958, pp. 79-85.


L'evoluzione politica lombarda nel secolo XI e i rapporti tra Milano, Lecco e Como
Analizzando gli avvenimenti lombardi del secolo XI, si rileva come il potere temporale dell'arcivescovo si fosse sempre più andato affermando; i diritti della corte regia erano via via passati a lui, che li aveva condivisi con i capitani e in un secondo tempo anche con i valvassori; a questi, dopo la morte di Erembaldo, si erano aggiunti i cittadini, la cui forza era cresciuta con l'accentuarsi dello sviluppo economico di Milano. Nel momento in cui più ferve l'urto tra Impero e Chiesa, a cavallo cioè del 1100, l'arcivescovo è diventato il capo legale della città che governa con l'appoggio delle tre classi. Mentre con uomini della tempra di Ariberto o di Erembaldo i poteri si erano accentrati nelle mani di uno solo, essi avevano poi, durante la lotta per le investiture, subito un graduale trapasso all'intera cittadinanza. Si andava così formando il Comune non già come rivoluzione democratica e contro il potere dell'arcivescovo, ma come costituzione stabile poggiantesi sulle due classi di nobiltà feudale e sulla terza classe di nobiltà municipale. Il volgo, compresi artieri e commercianti al minuto, solo più tardi parteciperà al governo. Il più antico documento milanese che accenna a un « consulatus civium » è del 1097. Già nel 1045 però, in occasione dell'elezione del successore di Ariberto, si parla di "civium universorum collectio". La prima vera menzione dei consoli è comunque del 1117, quando nel Brolo si adunò l'assemblea milanese, dove essi apparvero distinti dall'organizzazione dipendente dall'arcivescovo che presiedeva, e solo a metà del secolo XII si andrà delineando la vera funzione dei consoli che attorno al 1100 non era ancora ben definita. All'evoluzione politica interna di Milano se ne era naturalmente accompagnata una esterna, logica conseguenza del rafforzarsi economico, che portava una necessità di espansione. A questa contrastavano le esigenze delle città vicine, di Pavia, di Lodi, di Cremona, di Novara, e, in particolare, nella zona settentrionale, di Como. Le ragioni di contrasto con questa città, pure in fase di sviluppo, erano molteplici : innanzitutto una religiosa, inquantocché la città lariana vantava, sin dal tempo dello scisma dei Tre Capitoli, la sua indipendenza dalla Chiesa di Ambrogio, mantenendo invece stretti rapporti col Patriarca di Aquileia; una poi politica, per l'egemonia che Milano esercitava sui contadi di Lecco e del Seprio, dove rinfeudazione da parte dell'arcivescovo di pievi a cittadini milanesi aveva reso più stretti i contatti con i milites sepriesi, i cui interessi si propagavano anche ai vicini territori in diocesi comasca; una infine strategica, già che Como dominava importantissimi valichi alpini che potevano rappresentare per Milano, già in cammino verso una propria autonomia, la sicurezza contro una discesa dell'imperatore. Quale fosse in quel tempo la particolare situazione di dipendenza dalle relative città vescovili dei borghi e dei castelli, e in particolare di quello di Lecco, non è facile da stabilirsi, data la scarsità di accenni che si trovano nelle antiche cronache. L'Anonimo cumano scrive: «... Leucum, quod ita ut famulus deseruit », ma in questa frase, che vorrebbe mostrarci i Lecchesi come servi di Milano, è palese l'odio, del resto esteso a tutte le altre Terre del lago, contro chi combattè contro Como; d'altra parte il fatto che durante tutto il periodo bellico, anche quando le sorti volgevano assai favorevoli per Como che minacciava da vicino il castello, i Lecchesi rimasero fedeli a Milano, indica il loro attaccamento alla città. Le notizie poi del secolo XI, che mostrano il borgo partecipante alle lotte della Pataria, ci fanno supporre che tali vicissitudini avessero strettamente legato la vita lecchese a quella milanese, del resto certamente unite anche dai tradizionali interessi economici.

L'inizio della guerra decennale
Nei primi decenni del secolo XII i rapporti tra Milano e Como erano divenuti ancor più tesi per le particolari condizioni del vescovado comasco. Sin dal 1096 la diocesi era infatti divisa in due parti: i cives parteggiavano per Guido Grimoldi vescovo canonicamente eletto, mentre la parte esterna del territorio stava con Landolfo da Carcano, presule imperiale. Questi, per quanto scomunicato nel 1098 dall'arcivescovo Anselmo, era pur sempre di origine milanese e con ogni probabilità, anche perchè a ciò condotto dal contrasto con il Grimoldi sostenuto dai cittadini comaschi, egli appoggiava gli interessi milanesi nella diocesi di Como.
Nel 1118 Landolfo aveva preso dimora nel castello di S. Giorgio nella pieve di Agno sul lago di Lugano. I Comaschi, forse temendo che quelle terre, il cui possesso provato da un diploma di donazione di Lodovico il Pio era certamente discutibile, finissero in mani ambrosiane, decisero di levar di mezzo il vescovo malvisto e, in seguito .a una decisione del Consiglio della città, attaccarono nottetempo, nell'estate di quell'anno, il castello. Dopo uccisi i nipoti, Lanfranco ed Ottone, fecero prigioniero Landolfo, consegnandolo al vescovo Guido Grimoldi, suo grande avversario.
Le donne degli uccisi, mostrando gli abiti insanguinati dei congiunti nelle piazze, suscitarono l'indignazione dei Milanesi.
L'assemblea dei civis e dei milites, presieduta dall'arcivescovo Giordano da Clivio, decise per la guerra. L'arcivescovo minacciò l'interdetto contro chi si fosse mostrato contrario alla decisione e , ordinò che, chiusi i templi, venisse sospesa l'amministrazione dei sacramenti sin che non fosse uscito il Carroccio dalla città.
L'esercito avanzò sino a Rebbio, nella piana retrostante il Baradello, dove, sul finire dell'estate, avvenne un sanguinoso scontro.
Mentre parte delle truppe ambrosiane teneva impegnati i Comaschi in campo aperto, una forte schiera riusciva ad entrare nella città e a liberare Landolfo da Carcano. Sorpresi mentre si davano al saccheggio, i Milanesi furono però presto costretti a cercare salvezza nella fuga.
Il racconto di questo primo fatto d'arme ci è dato dai cronisti milanesi del tempo. Essi tacciono poi sul susseguente svolgersi della guerra, quasi che non vogliano dare ad essa importanza degna di nota. Per nostra fortuna ci è però rimasto l'importante manoscritto citato dell'Anonimo cumano. Così ne scrive lo storico comasco Cesare Cantù: « Fu illustrato dal padre Giuseppe Maria Stampa con moltissimo amore. Ma chi fosse il poeta nessuno seppe: alcuni lo chiamano Marco, altri il dice dei Raimondi; fu certo contemporaneo. Lo stile ne è rozzo, barbara latinità, niuna poesia, strane locuzioni, versi leonini di frequente, e pieno di tenebre, benché diradate dallo Stampa col confronto di varii manoscritti, e singolarmente d'uno di Como esemplato da 400 anni. In una schedola preposta si legge che molti libri eransi fatti intorno a quella guerra: ma noi abbiamo questo solo, e quanto per incidenza ne dissero gli storici milanesi ».
Benché realmente redatto in forma latina assai rozza, traspira, dal poema dell'Anonimo, insieme a un caldo amor di patria, un che di eroico e di schietto che, con la sensazione di trovarci dinnanzi a una descrizione sincera dei fatti, ci dà una pittura quanto mai viva di quegli anni di guerra e ci mostra come la reticenza dei cronisti milanesi sia da attribuirsi principalmente all'andamento dei fatti d'armi che per lungo tempo fu sfavorevole alla città di S. Ambrogio.
Gli storici comaschi, dal 500 all' 800, illustrarono ampiamente i dieci anni di resistenza della loro città, ma tutti si rifecero, sia pure con qualche variante, alla narrazione dell'Anonimo.
A quella quindi noi pure ci atteniamo, riservandoci di indicare le fonti quando riporteremo qualche particolare non proveniente da essa.

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