La sagra del paese e delle sue chiese

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, La sagra del paese e delle sue chiese in "Rivista di Lecco", anno XV (1956), n. 6, pp. 17-21.


Così narra la leggenda:

Indice

L'antica gente

Un tempo, allorché le acque del Diluvio universale si furono ritirate, dalle terre alte, lasciando sparse le conchiglie e i coralli che ancor oggi si rinvengono, pietrificati, a testimonianza e ad ammonimento, la vegetazione rinacque e ricoprì di un lussureggiante manto le pendici dei monti.

Sì che quando l'uomo, sceso dall'Arca, ebbe ripopolato il mondo, non andò gran tempo che gente del settentrione, attratta dalla bellezza e dalla ricchezza del luogo, salisse lassù per stabilirvi dimora.

Venne dapprima un popolo primitivo e rozzo che costruì capanne di legno sulla parte alta del fertile pianoro sovrastante il torrente. Chiamarono « Crees » il loro villaggio.

Erano uomini guerrieri e possedevano armi con cui cacciavano la selvaggina; avevano strani costumi: usavano bruciare i loro morti, ne raccoglievano le ceneri in un recinto di pietre profondamente interrato, nel quale deponevano pure gli oggetti posseduti in vita dal defunto, perché servissero a lui nell'oltretomba.

Ma per poco gli strani abitatori furono i soli padroni della Valle; che non andò molto ed altro popolo salì dalle lontane vie del lago : erano uomini di gigantesca statura, avevano lunghe alabarde, portavano elmi e scudi, ma amavano dedicarsi alla pastorizia e ai lavori dei campi; possedevano anche scuri ed attrezzi per lavorare la legna. Presero stanza nel tratto più basso del grande pianoro, dissero «Piaac» il nuovo abitato. Avevano usanze assai diverse da quelle della gente di «Crees»: seppellivano i loro morti nella terra, senza cremarli, coperti i maschi delle loro corazze, ornate le donne delle loro collane e dei loro pendagli. Ancor Oggi, scavando negli orti del paese basso, se ne ritrovano le tombe, così come si rinvengono, presso l'abitato di sopra, i recinti cinerari.

Dapprima i due popoli rimasero accanto, in reciproco rispetto, forse timorosi l'uno dell'altro. Ma i costumi, le abitudini, il modo di vita li separavano. Sì che presto nacquero contese, ora per il possesso di un armento, ora per la priorità nel cacciare, ora. per la brama di una femmina. L'odio disseminò rovina; la peste, le carestie, le calamità, che il destino manda a punire gli uomini cattivi, a poco a poco spopolarono i villaggi. E già che quella rozza gente non conosceva Iddio e temeva solo le brute forze della natura, dopo la morte era ad essa preclusa la beatitudine celeste.

Nelle notti senza luna è stata vista la processione della gente antica vagare per i monti, armata delle proprie armi, in cerca di una pace che non troverà mai perché nella vita non conobbe l'amore.

Gli uomini nuovi

Poi, dalle vallate vicine, dalla riviera del lago salirono uomini nuovi, miti e lavoratori, a ridar vita ai paesi abbandonali. Le rustiche primitive capanne di legno si trasformarono in case di pietra, il declivio attorno si andò pezzando dei colori variati dello culture.

Unita dalla fraternità che nasce dalla vita sui monti nella lotta comune contro le asperità della natura, la nuova gente traeva dai fertili campi grani e fraine per il proprio sostentamento, dai prati il fieno per i pingui armenti. Col tempo i costumi si affinarono : si crearono leggi per il governo, si aprirono traffici con i vicini paesi. Fieri della loro libertà, gli abitatori lasciavano talora le pacifiche occupazioni per difendersi dalle invasioni dei barbari popoli del nord. E costruirono lungo la valle torri di pietra che potessero reggere ogni assalto.

Così il popolo nuovo andava progredendo nelle vie del benessere e della civiltà.

Pure, la religione non era ancora giunta, con il vangelo del Cristo, a dire la parola vera che desse uri profondo substrato morale alla vita. Le credenze, pagane tenevano gli animi con la loro falsità; si adoravano gli dei, si temevano i folletti malvagi che vagavano nella notte per la valle. Le finestre delle case portavano fitte inferriate per tenere lontane le « Paure « notturne e nel buio della mezzanotte si sentivano battere contro di esse, in un ticchiettio sinistro, le corna della «Capra sbagiola », spirito demoniaco che interdiceva all'uomo il dominio della notte.

Il miracolo delle rondini

Il primo santo Eremita apparve finalmente nella Valle: era Vecchio e cadente, patito dalle privazioni e dai digiuni. Raccolse elemosine, si diresse verso Ortanella e si internò nel bosco. Quando la notte scese, il monte si apri e gli diede rifugio.

Ancora oggi, sulle pendici dei Fopp, si entra nella grotta di San Nicolao: è bassa e incombente, quale il vecchio Eremita l'aveva voluta, per esser costretto genuflesso a diuturna preghiera; una pietra incastrata mostra ancora un incavo dove gemeva acqua perenne che il Santo impiegava per mostrare. coi miracoli la potenza del Signore. Cosi la voce di Cristo si fece udire nel paese alto; presto ne fiorirono i frutti: i montanari si convertirono alla nuova fede.

E nacque la grande aspirazione: una Chiesa che con il suono delle sue campane portasse eterna benedizione alla Valle.

In un vespero di primavera, gli Esinesi si riunirono per decidere sul luogo dove costruire la casa del Signore. Fu ardente "vicinantia": i vecchi, dalle stanche membra, desideravano che il tempio sorgesse fra i due paesi, per potervisi portare sovente, senza troppa fatica, a conforto dei loro ultimi giorni; i giovani, dalla fervida fantasia, lo volevano invece sopra una eccelsa vetta. Invano si cercò di conciliare le due opposte tendenze. Sorse alfine il santo vecchio Nicolao e propose di innalzare una preghiera al Signore, perchè Egli desse un segno della sua volontà. Nel silenzio dell'Alpe si levò così la supplica del popolo a Dio.

Ed ecco il domani, mentre il sole illumina le cime, mentre nella fredda mattina i montanari salgono verso i pascoli alti, apparire a ponente, dove la valle sbocca nel lago, un'ombra oscura che via via si avvicina, sino a coprire il breve orizzonte.

Gli uomini ristanno stupiti nel loro cammino; le donne, nel paese, escono sulle porte, sorprese dall'affievolirsi della luce appena sorta e guardano la strana ombra ingigantire.

Un grido di meraviglia prorompe dalle labbra di ognuno: sono rondini, rondini che vengon di lontano in uno stormo immenso e sono tante, quante a memoria di uomo mai fu dato di vedere.

Poco lontano dalle prime case l'avanguardia indugia, si libra nell'azzurro. E gli occhi attoniti dei montanari scorgono che ogni rondine lascia cadere dal becco un sassolino, per fuggire poi lontano garrendo di gioia.

Giungono da ponente, interminabile schiera, gli uccelli benedetti e ognuno porta il suo obolo di roccia. Cadono a valle le piccole pietre e dal fondo sorge un monte novello.

Dio ha esaudito la preghiera della sua gente e a sera, quando l'ultima rondine si è perduta nel cielo, si leva, di fronte al paese, l'ardito sperone su cui i montanari costruiranno la casa del Signore, dedicandola a Santo Vittore, soldato e martire africano (1).

Il fuoco del castigo

I tempi passarono e la prosperità arrise al paese. Frutto del costante lavoro delle generazioni, la ricchezza venne alle famiglie migliori. Ma la ricchezza, ammonisce la sapienza antica, è quasi sempre fonte di male.

E nella Valle alta nacquero odi partigiani; tra gli abitatori della Terra di sopra.e quelli della Terra di sotto sorsero contese, quasi che le inimicizie degli uomini primi sepolti sotterra ridassero frutto. Spavaldo del proprio potere, ciascuno voleva prevalere sugli altri. I contrasti intestini tacevano solo quando tutti si riunivano per portar guerra agli allri paesi con lo scopo di spingere oltre i confini.

L'antico spirito cristiano era dimenticato.

Pure, insegna la leggenda, la giustizia divina vegliava. E mandò sugli uomini divenuti malvagi il flagello della siccità.

Era anno di grandi promesse : mai i grani si erano visti così pieni, mai gli alberi tanto carichi di frutti. La calura li bruciò: ah tempo delle messi il raccòlto fu scarsissimo e misero.

La carestia batteva alle porle e già all'inizio dell'inverno si profilò lo spettro della fame. Poi, quando la siccità ebbe inaridito anche le erbe dei prati e dei pascoli, il fuoco prese esca e divampò nella valle; il vento lo nutrì, lo portò dovunque, su per le pendici dei monti. Bruciarono prima i teneri virgulti, poi gli alberi più grossi e infine anche i faggi secolari.

Mentre gli uomini si davano attorno per impedire la totale rovina del bosco che era grande ricchezza perchè dava vita al commercio con i paesi dehlago, le ceneri piovvero sulle case. I tetti impagliati si accesero, le fiamme invasero le abitazioni. Immiseriti d'acqua quali erano i pochi pozzi dell'abitato, inutile fu ogni lotta contro l'incendio.

La mattina, spentosi il fuoco ormai senza alimento, la Valle apparve nella sua immensa desolazione, distrutte le case, spogli e fumiganti i boschi che erano stati di invidia ai vicini. Nel cielo frattanto apparivano le nubi, per tanti mesi desiderate invano, quasi a mèglio significare il castigo divino.

Davanti a tanta rovina il cuore indurito della gente si spezzò e l'implorazione del perdono si levò finalmente al Signore.

Iddio è generoso, dice la leggenda, udì il grido del pentimento e riportò al paese la prosperità perduta.

Per devozione il popolo eresse, nelle due frazioni vicine, gli Oratori di Santo Giovanni e di Santo Antonio che divennero col tempo sempre più belli e più degni dei due Santi protettori (2).

Il prodigio della campana di Santo Giovanni

Esino dunque rifiorì. La sua gente, fedele alla legge del Signore, conobbe ancora la poesia dell'amore. Solo ormai le potenze dell'Averno, dai dirupi maledetti della Griglia, popolati di spirili demoniaci, stanno a minaccia con terribile odio verso la pia devozione dei montanari.

Ed un giorno, quando più splendido il sole crogiola i fertili campi e il raccolto promettente conforta il contadino della dura fatica, le forze dannate del male suscitano, su dai precipizi tenebrosi, la violenza distruttrice della tempesta. Due possenti spirili, dall'alto delle cime che sovrastano il Vo' di Moncodeno, incanalano verso il ridente paese, a portarvi rovina, il turbine devastatore.

I pii montanari vedono la terribile minaccia; spinti da una incrollabile fede, corrono alla Chiesa di Santo Giovanni e suonano a stormo la campana benedetta.

Le nubi — narra la tradizione — si fermano nel loro vertiginoso calare. Ruggiva sui monti la tempesta, ma una forza divina ne impediva lo scatenarsi a valle, mentre la voce del bronzo si levava sempre più forte, misteriosamente ingigantita, a scongiurare il flagello.

Ecco a sera giungere un vecchio che la bufera aveva sorpreso nell'alta valle Molinera, dove si trovava a raccogliere legna.

Strane cose egli racconta, che rinsaldano la fede degli Esinesi: mentre egli scendeva atterrito, giunto a Vo' di Moncodeno, aveva udito da una delle sovrastanti cime gridare: «Lascia che il turbine passi! » e dall'altra una lamentosa voce rispondere: «Non posso, non posso; abbaia la cagnetta di Santo Giovanni ». E mentre nell'eco dei monti si perdeva l'urlo degli spiriti maledetti, saliva da valle lo squillo della campana.

Accerta la leggenda che ben sette giorni si accanirono i nembi a forzare il passo vietato, e per sette giorni gli Esinesi instancabili suonarono il bronzo della loro campana.

Sino a che le forze dell'Abisso, vinte da quella limpida fede, abbandonarono le squallide gole e il sole tornò a splendere luminoso e benefico.

Il borgo scomparso e il portento di Santo Antonio

Gli spiriti del male furono allora costretti a seguire altra via per recar danno al paese: trassero a se i più malvagi abitatori e ne fecero tregenda di maghi e di streghe.

In paurosi Sabba' li vede la leggenda, abbandonati ad orge mostruose, danzanti in ridda infernale con animali immondi, all'ombra lunare della torre che sovrasta il paese, attorno al fuoco su cui bolle un intruglio in un grande caldaro. Un mago legge le formule clie dovrebbero ay^elenare le ricche messi; ma, mentre egli volge il foglio del libro dei comandi, un colpo di vento scuote la campana di Santo Antonio : al breve suono che ne viene la demoniaca adunata è balzata lontano e si ritrova, battuta e malconcia, sul greto della Pioverna.

Un'altra notte gli urli delle streghe fanno sgorgare dalla sinistra torre un getto di acque che, ingrossandosi, dovrà travolgere l'abitato sottostante. Si destano i montanari allo scroscio del torrente novello, escono atterriti nelle si rade e vedono la rovina che sta per abbattersi sulle loro case.

Solo un aiuto divino può vìncere il maleficio. Giovani e vecchi, tutti corrono a rifugiarsi nella chiesetta di Santo Antonio, e, pieni di fede, invocano l'aiuto del Santo protettore.

Il prodigio si compie: le acque minacciose abbandonano le case che sorgono attorno al tempio e, irruenti e devastatrici, si rovesciano invece sii quelle che appartengono ai malvagi suscitatori del cataclisma e che sorgono lontano, non protette dal sacro campanile.

Si sfasciano le muraglie sotto i flutti impetuosi, e solo quando desolale rovine seminano il terreno, si placa l'onda del malefizio.

A riprova del fatto, narrano i vecchi che lavori eseguiti dove sorgeva il borgo scomparso misero alla luce fondamenta di remote abitazioni.

Il concilio di Trento

Passò il tempo ancora e la storia prese il posto della leggenda. La libertà antica morì e coi dominatori vennero la fame, i morbi, il flagello dei soldati stranieri.

Poi fu indetto il Concilio di Trento e gli spiriti dannati furono esorcizzati per cinquecento anni: per tale tempo più non vagheranno nella Valle alta. Ma, col loro scomparire, è scomparsa anche la ragione del miracolo che dà scintilla alla fede, si è spenta la poesia del soprannaturale che dà colore alla vita.

Al cadere del termine, che è vicino, assicurano gli ultimi vegliardi, il Demonio ritornerà e saranno con lui rovina e morte che la fede fioca dei sopravvissuti non saprà più scongiurare.

Rimarrà deserta la Valle in infinito squallore e soli si leveranno i campanili di Santo Vittore, di Santo Giovanni e di Santo Antonio a testimoniare di tempi di ardore cristiano. Così, nei secoli, sino a che a Dio piacerà suscitare nuova scintilla di vita.

Note

(1) Un'altra versione, la quale forse riflette un episodio reale, che interpretato come monito divino diede origine alla leggenda, dice che la costruzione della Chiesa venne iniziala tra i due paesi, là dove ora si trova l'oratorio di San Nicolao; e che il mattino le rondini toglievan pietruzze dalla muratura per portarle in cima all'alto sperone presso i ruderi di un antico castello. Dal che i montanari trassero auspicio, abbandonarono i lavori iniziati ed andarono a costruire lassù la loro Chiesa.

(2) Altra leggenda narra che il castigo venne da una tremenda bufera che schiantò gli alberi e distrusse le case, lasciando in rovina la Valle. Il significato morale è comunque il medesimo. E' poi interessante constatare come un documento del 1400 riveli che in realtà un incendio distrusse il paese e come proprio negli anni che seguirono fossero costruite, nella loro forma definitiva, le due chiese minori.