L'ambrosino d'oro
Libro di Pietro Pensa, ed. Cavallotti, Milano, 1956.
Il console Lanfranco interruppe bruscamente il discorrere, si staccò dal gruppo, venne alla pusterla d'approdo e, appoggiandosi al fianco della muraglia, stette ad osservare intento la barca avvistata in mezzo al lago. Gli altri gli furono subito accanto; anche l'Esule, che era rimasto dapprima appartato ad ascoltare con noia il parlar degli Isolani, si avvicinò incuriosito.
Sotto, l'onda batteva ritmica e sonora contro la roccia.
— O che son pazzi a tenere il lago con questo tempo dannato? — interrogò Faliem di Maza, uomo anziano ed esperto.
— Vorrei non scendere più in acqua, se non è gente di Como, quella! — rispose Lanfranco.
Certo, solo una ben grave ragione poteva spingere gli uomini della barca a voler reggere al largo con simile bufera. Il vento, incanalandosi tra le alte catene dei monti, sconvolgeva le acque e le sollevava in flutti che si rompevano in un ribollire disordinato e schiumoso, sì che la navicella, squassata dalle onde che la prendevano sul fianco, or si levava ed or ricadeva piegandosi a volte paurosamente. I due vogatori lavoravano di remi con destrezza, ma la lotta appariva impossibile.
(...)