Il crepuscolo dei Balbiano in Chiavenna
Articolo pubblicato da Pietro Pensa in Clavenna, XXVI (1987), pp. 97-115.
Mentre Giovanni de Balbiano combatteva sul Lario, alle cose della contea di Chiavenna provvedeva il fratello conte Gabriele. Che poco buoni fossero i rapporti tra i due si deduce da quanto accadrà più avanti tra i figli di Giovanni e lo zio.
Sia Giovanni che Gabriele erano sposati a donne della famiglia Spinola: la prima Apolonia la seconda, Luigia di Tassarolo, forse tra loro consanguinee.
Il ritorno di Giovanni a Chiavenna e i suoi rapporti con la popolazione
Al suo ritorno in valle, il conte Giovanni trovò sempre più tesi i rapporti tra Chiavenna e i feudatari svizzeri che confinavano con la contea. Nelle terre grigioni in quel tempo era in corso una profonda rivoluzione sociale che vedeva il popolo proteso a entrare sulla scena politica e a controllare la nomina dei propri magistrati, con movimenti democratici che tendevano a costituire comunità autonome non solo amministrativamente ma anche giurisdizionalmente; si manifestava, cioè, sia pure con un ritardo di due secoli, quanto sul Lario era accaduto al sorgere delle libere Comunità. In quel quadro si muovevano le dinastie feudali retiche superstiti, cercando, sia pure con spirito ben diverso, di convogliare la brama espansiva popolare in movimenti di conquista territoriale verso la Valtellina e la Valchiavenna, che consentissero loro di rialzare il prestigio e le sorti finanziarie del proprio casato, ormai al tramonto.
Così avvenne per il conte Giorgio di Werdenberg Sargans, detto conte Jori, il quale, dopo che la sua famiglia aveva aderito alle unioni che sarebbero sfociate nelle Tre Leghe, aveva venduto al vescovo di Coira e alla Lega Caddea i suoi diritti signorili sullo Schams e su Obervaz; rivendicando quelli che aveva sui pascoli di Lei, organizzò una invasione nel Chiavennasco con centinaia di armati. Venutone a conoscenza, Giovanni Balbiano il 17 settembre 1460 si affrettava ad avvertire il duca Francesco Sforza, mentre provvedeva a guarnire i passi (1).
Le alpi di Lei, in realtà, appartenevano da remotissimi tempi al comune di Piuro, quali pertinenze di quelle del lago dell'Acqua Fraggia, con le quali, pur essendo tributarie del bacino del Reno, comunicavano attraverso il passo di Lei, a m 2660 s.m. Ai conti Sargans spettavano solamente decime, loro pervenute per concessioni vescovili.
La questione, fortunatamente, si risolse, per intervento della diplomazia ducale inteso a scongiurare una guerra, con un atto del 19 luglio 1462, stipulato nella chiesa di San Cassiano in Piuro: alla presenza del conte Gabriele Balbiano, i fratelli Giorgio e Guglielmo, conti di Werdenberg Sargans, signori di Ortenstein e di Haunzunberg, cedettero ogni loro diritto sulla valle di Lei, ricevendo dal comune di Piuro, una tantum, 101 fiorini d'oro (2).
Morto senza figli legittimi il conte Giorgio, zio di Giovanni e di Gabriele, il feudo restava diviso in parti uguali fra questi, ma, mentre Giovanni aveva avuto dalla moglie, contessa Apolonia Spinola, due figli, Antonio e Annibale, Gabriele aveva un solo figlio naturale, Baldassare. Ebbene, il conte Gabriele, preoccupato di non avere discendenza legittima, il 21 marzo 1467 ottenne dal duca Galeazzo, succeduto al padre Francesco, la concessione di trasmettere al figlio illegittimo Baldassare la parte del feudo a lui spettante, ove non gli fosse nato un figlio legittimo. Tale concessione era seguita, secondo la prassi in uso, a un atto di conferma, il 6 di quel mese, del feudo di Chiavenna, portante la clausola che, non nascendogli figli legittimi, alla morte la sua parte di feudo sarebbe tornata alla Camera ducale (3). Poco dopo tale favore, nacque a Gabriele dalla moglie Luigia un figlio legittimo, Angelo, e così per questi fu valida la conferma del 6 marzo. Risulta, da una stima redatta nel 1477 (4) dei beni stabili di provenienza demaniale dei Balbiano, che il palazzo biturrito era sede e appartenenza del conte Giovanni, il quale lo aveva costruito dopo il suo ritorno a Chiavenna (5), mentre,il fratello Gabriele era possessore della torre del Castello sovrastante e abitava in una casa sita nella «contrada di San Pietro», detta della «Cirexa» (6) per la presenza di un albero di ciliegie: quasi certamente quella che sarebbe poi servita ai commissari grigioni, quindi a municipio, a sede delle carceri e dei carabibieri, infine a pretura.
Benché pochi, ridotti ai rapporti ufficiali tra Camera ducale e feudatari, siano i documenti conservati degli anni tra il 1454 e il 1475, quest'ultimo data approssimativa della morte del conte Giovanni, impressiona il constatare la diversità dei rapporti tra il Balbiano e i vicini delle comunità, sul Lario improntati a sentimenti sostanzialmente democratici consoni allo spirito di indipendenza della gente delle rive e delle valli, nel Chiavennasco a una dura volontà di dominio.
Più che altro ne è prova una supplica diretta al duca Francesco Sforza dai fratelli Cristoforo Andreolo e Polo, i quali, lamentandosi del conte Giovanni per avere lui fatto morire in prigione il quarto fratello Guglielmo e per aver saccheggiato e confiscato i loro beni in punizione della loro reticenza a giurargli fedeltà, erano stati obbligati a esulare con le famiglie e a vivere in miseria.
Tale supplica, conservata nell'Archivio di Stato di Milano, non datata e non firmata, è da ritenersi posteriore al 1454 (7). Forse a rendere così duri i Balbiano, oltre a motivi fiscali, era lo stato d'animo provocato dalla preoccupazione di mantenere il feudo contro le ambizioni dei Grigioni, che si facevano forti del dono, giuridicamente non valido, della Valtellina fatto al vescovo di Coirà da Mastino Visconti figlio di Bernabò nel 1404, per riconoscenza dell'ospitalità ricevuta e delle promesse di aiuto per la riconquista del ducato (8).
La preoccupazione dei Balbiano per l'atteggiamento delle Leghe Grigie era d'altra parte la stessa che nutriva lo Sforza. Così, dopo aver inviato il conte Giovanni nel 1464 a tenere ben guardato il confine settentrionale della Valchiavenna (9), il duca nel gennaio del 1465 inviava con fanti Sagramoro Visconti, armorum ductor, e Antonio da Cardano per la sistemazione delle difese sia allo Spluga, sia in Val Bregaglia.
Mentre si avviava una nutrita corrispondenza tra Milano e Chiavenna, e il Balbiano, impensierito da una diffida ricevuta dai Grigioni per presunti torti ricevuti alla fiera di Chiavenna, chiedeva l'invio di armati, con l'assistenza del conte Giovanni e anche del fratello Gabriele, venivano dai tecnici ducali eseguiti schizzi di bastie e di difese, che rapidamente furono realizzate (10).
Nel loro comportamento Giovanni e Gabriele appaiono assai dissimili: il primo, pieno di spirito di iniziativa, capace sia militarmente che politicamente, tanto che lo troviamo due volte, nel 1452 e nel 1458, podestà di Firenze e raccomandato dal duca Francesco al vescovo di Bologna per la nomina a podestà di quella città (11), il secondo nell'ombra del primo, dal quale si fa rappresentare nei rapporti con il ducato.
La faida tra i due rami chiavennaschi dei Balbiano
Mentre sino alla morte di Giovanni, avvenuta probabilmente, come già accennato, nel 1475, nulla lascia pensare a screzi, negli anni che seguirono esplose una faida tra i due rami della famiglia, indice di una violenta avversione dei due figli di Giovanni nei confronti di Baldassare, odio che fu esteso allo zio Gabriele per averlo questi fatto riconoscere quale eventuale suo erede nel contado.
Tale atteggiamento, che condurrà ad episodi di inaudita ferocia, è tpico del concetto che per secoli ispirò la nobiltà, rendendola tanto fiera del proprio sangue blu, considerato dono divino, da non tollerare nella famiglia gli intrusi illegittimi. Sembra di poter dedurre tale stato d'animo dal comportamento, ben diverso, dei due figli di Giovanni, come vedremo in seguito, con il cugino legittimo Angelo.
Avvenne, dunque, che, avendo il conte Gabriele, malandato di salute, deciso nella primavera del 1477 di recarsi a Milano con Baldassare per farsi curare, i nipoti conti Antonio e Annibale, venuti a conoscerne le intenzioni, radunati una dozzina di propri aderenti della val San Giacomo, armati, facessero appostare, il 14 aprile, i due viaggiatori al Ponte dei Carri presso Mese. Fortunatamente la congiura era trapelata e così il conte Gabriele e Baldassare sfuggirono all'agguato e poterono raggiungere Milano una decina di giorni più tardi (12).
Le condizioni di Gabriele furono trovate così gravi dai medici milanesi, che in Chiavenna si diffuse la notizia della sua morte imminente. Ne approfittarono Antonio ed Annibale per entrare con violenza con i soliti aderenti, ad un'ora di notte, nella casa dello zio, dove si trovavano il cuginetto Angelo e la moglie di Baldassare, Elisabetta, figlia del comasco Giorgio Lucini, dottore in legge. Presero armi, balestre schioppi palesane, polvere da sparo, bardature di cavallo, con la scusa di doverli usare contro gli Svizzeri che minacciavano Chiavenna, ma rapinarono anche drappi di lino e di lana, i gioielli di Elisabetta, vasellame, caldari e documenti, tra i quali molte bolle papali, rimanendo nella casa parecchi giorni e consumando cibarie e bevande (13).
A Milano il 29 moriva il conte Gabriele, dopo aver nominato Baldassare tutore di Angelo. Chiamato questi dal fratellastro nella capitale per giurar fedeltà al duca ed essere confermato nel feudo, il giovinetto fu persuaso dai cugini a non ascoltarlo, e così Baldassare, dopo aver denunciato alle autorità ducali l'attentato al Ponte dei Carri e la rapina effettuata nella casa paterna (14), ritornò a Chiavenna.
I due cugini, decisi ad eliminarlo, ne spiavano i movimenti e una sera, verso la fine di giugno di quel 1477, con gli abituali bravacci lo aggredirono in una via della città dove passava con un domestico e col notaio milanese Antonio di Villa. La mischia ineguale si risolse con la morte del notaio, colpito da un fendente, mentre Baldassare, mutilato nel mento e nel naso, creduto morto, veniva abbandonato sulla strada e poi soccorso dai passanti.
Sembra che a suggerire quella criminosa azione ai fratelli Balbiano fossero stati Giorgio e Ravazzino Rusca, Carlo Oldrado di Chiavenna loro fautore e ser Ambrogio di Dorizio loro familiare, nonché Simone Calchaprina podestà di Chiavenna loro dipendente, ma che l'anima di quella faida fosse la contessa Apolonia, madre dei due giovani (15).
I rapporti dei Balbiano coi Rusca
Mette qui la pena di fare una digressione sui rapporti tra i Balbiano e i Rusca, che, pur se appena conosciuti, dovevano essere cospicui.
Il cavalier Ravazino era suocero di Antonio che, personaggio certamente di una certa cultura essendo dottore in ambo le leggi, ne aveva sposato la figlia Clara, natagli dalfa moglie contessa Lucrezia del Persico.
Ora, come già indicato nella prima puntata di questo studio, il feudo di Chiavenna era stato dato in pegno da Caterina Visconti a Baldassare Balbiano, con strumento del 23 aprile 1403 rogato dal notaio Giannolo di Besuzzo, dietro versamento di 6000 fiorini. La duchessa vedova, trovato esausto il pubblico erario, aveva dovuto raccogliere la somma dando in pegno a privati terre del ducato (16), per sopperire alle urgenti spese delle sfarzose esequie tributate al defunto consorte e per tener in assetto di guerra quella potente armata che doveva condurre a soggezione le città ribelli (17).
Baldassare, capitano di Porta Vercellina, che abitava in Milano, con procura del 30 aprile rogata da Gaspare de Medici di Novate, aveva nominato suoi rappresentanti il giureconsulto Alberto de Secchi e Antonio di Losia di Varese per prendere possesso del feudo. Questo riguardava il borgo di Chiavenna con l'intera pieve, la pieve di Samolaco, il borgo di Piuro, la valle San Giacomo con tutte le loro pertinenze, compresa la rocca e i fortilizi del borgo di Chiavenna, la torre di Olonio superiore, la giurisdizione con mero e misto imperio, con le regalie, diritti ed onoranze spettanti ai Visconti. Il definitivo passaggio del feudo ai Balbiano avvenne tuttavia l'8 febbraio 1406 da parte del duca Giovanni Maria Visconti nella persona di Antonio Balbiano, figlio di Galeotto (18).
Dopo essere rimasto il feudo per una decina d'anni in mano di Antonio, da questi, per una complessa questione di prestiti di denaro esposta nel documento del 1434 di cui dirò in seguito, passò nelle mani dei Rusca. Costoro, ricevendo con quello da Filippo Maria Visconti la valle di Lugano, le pievi di San Vitale e di Balerna, Mendrisio, Luino, la val Travaglia, Osteno, Cima, Vallintelvi, i castelli di Morcote, Codelago, Sonvico, San Pietro e anche la somma di 15.000 fiorini d'oro e 1000 d'argento, cedevano ai Visconti la città di Como e il castello Baradello (19).
Nel corso della guerra con Venezia Giovanni Rusca della discendenza di Franchino appoggiò il capitano milanese Piccinino con azioni che furono determinanti per la vittoria da questi ottenuta a Delebio sul condottiero Cornaro.
Sembra che un cambio con le terre di Locarno avesse indotto i Rusca a cedere il contado di Chiavenna al Visconti, il quale, il 25 giugno 1434 con un atto pubblicato integralmente dal Crollalanza, riconosceva ai fratelli Giovanni e Gabriele e allo zio Giorgio «de Varena» la vendita a suo tempo fatta a Baldassare e al figlio Antonio Balbiano, ambedue morti (20).
Che negli anni tra il 1416 e il 1434 il feudo fosse stato gestito dai Rusca è provato da una lettera ducale del 21 febbraio 1421, in cui il duca si meraviglia della supplica ricevuta dai Savi di Provvisione di Como circa l'abbandono di terre incolte, per ordinare e utilizzare le quali i cittadini avevano fatto venire uomini e fìttabili dalla montagna di Dongo tenuta da Giovanni Sacco e dalla Valchiavenna che «tenetur per fratrem et consanguineos qm comitis Lutery Rusche» (21). Similmente, in altra lettera del 3 agosto 1422, gli uomini di Chiavenna ricordano di aver giurato fedeltà a Loterio e chiedono facilitazioni nei loro rapporti con chi li domina e con Como (22).
Sempre occupandomi delle vicissitudini del feudo, dopo quanto accaduto ai tempi della Repubblica ambrosiana, da me diffusamente esposto, ricordo che, conquistata Milano, Francesco Sforza, in occasione della sua entrata ufficiale in Milano, cerimonia a cui parteciparono Giovanni Stampa e Giovanni Balbiano, li armò cavalieri aurati (23).
Il 21 luglio 1450 rinnovò ai Balbiano la concessione del feudo, riservando a sé gli alloggiamenti militari, le gabelle del sale e i pedaggi dei panni e della ferrarezza, incaricando il podestà, il referendario, il capitano del lago e gli altri ufficiali di Como di fare osservare le clausole della concessione (24).
Il fratello Gabriele con atto del 22 agosto 1450 aveva nominato Giovanni suo procuratore e con atto del 22 agosto 1450 ratificò l'investitura ducale (25).
La perdita e il recupero della contea di Chiavenna
Dopo la denuncia di Baldassare, dell'aggressione fattagli e dell'invasione della sua casa, contro i due fratelli Balbiano si mosse la magistratura ducale: il castellano, loro parente, fu rimosso dalla carica e sostituito con l'«egregius vir Jacobus de Anfossio»; così pure venne licenziato il podestà Simone Calchaprina. L'Anfossi il 6 maggio impartiva ai consoli e alla popolazione l'ordine di astenersi da qualsiasi azione contro i figli di Gabriele e intimava al conte Annibale di rendere quanto aveva asportato, di abbandonare Chiavenna e di presentarsi a Milano. Venivano citate come testi il 7 maggio molte persone che deposero sull'attentato al Ponte dei Carri presso il notaio «Petro de Naxali» (26). I due Balbiano, pur millantandosi di non volere restituire nulla, fecero consegnare nel seguente giugno al duca una lettera, protestando la loro fedeltà e chiedendo che venisse revocata la chiamata a Milano e che a uno di loro fosse permesso di rientrare in Chiavenna.
Gli uomini della città fecero subito seguire una lettera per dissuadere il duca dal concedere che uno dei due conti riponesse il piede in Chiavenna, accusando i due fratelli di molti delitti capitali (27).
I due conti correvano ai ripari e Giangiacomo Vismara, delegato commissario a Como e delegato ducale a Chiavenna, il 6 agosto informava che dal Lario erano giunti sette gentiluomini, di cui due di Varenna, per pregarlo di adoperarsi a far accettare ancora dalla gente di Chiavenna i conti quali loro signori. Quei gentiluomini si recarono pure dai principali patrizi della città; similmente Ravazzino Rusca andò in val San Giacomo per aver sostenitori (28). Non riuscirono a nulla e si avviò il processo presieduto dal Vismara e posto agli atti dal notaio «Jacobus de Parrotis», che nello stendere le deposizioni il 22 ottobre nota come Annibale avesse minacciato di morte trenta fra i principali Chiavennaschi (29).
In una lettera senza data, certamente della fine di ottobre, Antonio si lamentava col duca perché erano stati tradotti nelle carceri del castello due suoi servitori e perché il Vismara con 60 uomini armati si era recato nella casa della madre Apolonia, prendendo munizioni, armi, casse e persino i gioielli della contessa, lasciando a guardia 25 uomini (30).
Il 26 ottobre il Vismara, certamente in seguito a quella lettera, scriveva al duca giustificando il suo operato. Venne inviato a Chiavenna per ispezione Pietro Paolo da Pegio, persona aulica, che scrivendo da Como in dicembre approvava la condotta del Vismara, in difesa del quale il 9 seguente i Chiavennaschi mandavano pure una lettera.
Non si conosce l'esito del processo, ma si sa che fu a sfavore dei Balbiano e che venne loro tolto il feudo. Per spossessarli occorreva valutare i beni immobili di loro spettanza e le entrate ordinarie del feudo per indennizzarli.
Già si era dato incarico il 30 agosto 1477 all'ingegnere ducale Boneforte Solari di stendere la stima dei beni stabili dei Balbiano, di provenienza demaniale. Quel celebre architetto, della famiglia intelvese Solari, recatosi a Ghiavenna, la redigeva in data 18 settembre.
È un prezioso documento che si trova in duplice copia nell'Archivio di Stato di Milano e che il Buzzetti pubblicò: esso consente di conoscere come si presentava la Chiavenna pubblica di quel tempo e come vi si svolgeva la vita (31).
La stima ammontò a oltre 10.000 lire, di cui più di 8.600 dovute ai conti Antonio e Annibale e più di 1600 al conte Angelo. In lire 1600 i servitori del Maestro delle entrate straordinarie avevano poi valutato per il 1477 i dazi dovuti ai Balbiano (32).
Il conte Angelo, con strumento rogato il 12 febbraio 1478 dal cancelliere ducale Giovanni Antonio Gerardi, veniva investito del feudo di Agliate di qua del Lambro (33), mentre non si sa se la Camera avesse versato il dovuto ai fratelli Annibale e Antonio.
Resi liberi dal giogo feudale, gli uomini di Chiavenna il 6 gennaio 1479 chiedevano al duca vari capitoli, che furono tutti concessi: tra i più significativi sono la liberazione dal giuramento di fedeltà ai Balbiano e l'assicurazione che, rifacendosi agli statuti di Como i quali vietavano custodia di fortificazioni ai Varennati (= isolani), nessun Balbiano in futuro potesse diventare castellano o podestà nella Valchiavenna e potesse abitare nella città (34).
Analoghi capitoli furono chiesti dagli uomini di Piuro nel successivo 26 aprile 1479.
Usciti di scena i conti Balbiano, il duca affidava la rocca a Lancillotto Perego, il cui fratello Felice curava l'apprestamento di nuove opere fortificatorie (35).
Come la camera si fosse comportata con i due conti fratelli è difficile precisare. Si sa che la duchessa Bona, concedendo nel 1477 a Gian Giacomo Trivulzio la terra di Vespolate, lo obbligò a pagare ai conti Balbiano e ai loro discendenti maschi la somma annuale di 400 lire imperiali e che infeudò loro la terra di Cinalegna nell'agro pavese.
Rimanesse ancora un credito ai due Balbiano, o la Camera si trovasse in difficoltà finanziarie, o ancora i Balbiano, trasferitisi a Milano, riuscissero a premere nell'ambiente ducale, certo è che di nuovo i due fratelli riapparvero nel 1481 a Chiavenna, investiti, previa rinuncia a Cinalegna, il 27 novembre 1481 del feudo dal duca Giangaleazzo Sforza, con pieno consenso dello zio e tutore Ludovico il Moro (36).
È da pensarsi valida la supposizione del Besta (37), che cioè il Moro riportò nella valle i Balbiano perché preoccupato che Giangiacomo Trivulzio, gran fautore della Francia, ne avesse le mire.
Il Crollalanza scrive che i conti Balbiano nel nuovo periodo di possesso del feudo lo governarono con giustizia e che divennero ben voluti dalla popolazione. Nei vent'anni della loro presenza, in effetti, essi furono distratti da ogni bega privata e di parte per l'impegno che avevano di contenere l'espansione dei Grigioni, impegno che prendeva forma nella costruzione di opere di difesa e che ebbe momenti critici in episodi bellici.
Erano gli anni, quelli, in cui, con la calata di Carlo VIII di Francia, si addensavano nubi sulla Lombardia e i Grigioni, appoggiandosi ai Francesi, premevano sulle valli dell'Adda e del Mera.
Mentre accantono l'argomento fortificazioni, sia perché già bene trattato da valenti storici quali Pietro Buzzetti e Guido Scaramellini (38), sia perché l'azione dei Balbiano era marginale, in quanto nell'ultima infeudazione il duca aveva riservato a sé il castello, e quindi ridotta, nei rapporti tra camera e popolazione, ad ottenere che questa sopportasse le spese che le venivano addossate (39), accenno invece alle vicende di guerra che misero in luce il coraggio e il valore che i due fratelli avevano ereditato dal padre Giovanni, «eques et comes».
Ben tre furono le aggressioni dei Grigioni alla Valtellina, favorita dal Pontefice a danno dello Sforza, che si appoggiava all'imperatore e che, cercando di ammansire quegli avversari col giungere persino a indennizzarli con somme di denaro degli ipotetici danni che loro stessi avevano provocato, dava prova della sua debolezza.
Dopo essersi addensata la minaccia su Chiavenna nel 1485 (40) anno dell'infeudazione della Valtellina al cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro, infeudazione che affermava la separazione della valle da Como, in seguito alla dieta di Ilanz del 17 maggio 1486, il 23 di quel mese i Curvaloni del conte Giorgio di Sargans sbucavano dallo Spluga nella val San Giacomo, razziando bestiame, mentre i Bregagliotti scendevano lungo il Mera.
Affrontati presso il borgo di Piuro dai fratelli Balbiano, Annibale al comando della cavalleria e Antonio della fanteria, i Grigioni, forti per numero, ebbero la meglio e costretti alla fuga i due conti fratelli, dei cui seguaci rimanevano sul terreno i chiavennaschi Giovanni Grandone, Donato Crollalanza e Dominico Pellizzari, pur risparmiando Piuro per l'intromissione di uno di loro riconoscente a quel borgo, calarono su Chiavenna e la misero a fuoco (41). Mentre resisteva la rocca, quegli invasori scendevano sino alle Tre Pievi, ma ne vennero respinti (42).
Seguì un periodo di accordo e di tregua, caratterizzato dal pagamento di denaro da parte dei ducali. Poi, nel febbraio del 1487, riprese l'aggressione dei Grigioni, sia per la val San Giacomo che per il Poschiavino, con l'invasione del paese provenendo da Livigno; avvenne in quell'occasione il presunto miracolo di Maria delle Grazie che portò alla costruzione del santuario di Grosotto.
Mentre i Grigioni continuavano la loro calata lungo la Valtellina, a Morbegno i ducali e i loro aderenti tennero un consiglio di guerra; vi partecipò il conte Annibale, che propose una diversione verso la valle del Reno per alleggerire la pressione nemica (43).
I due eserciti, mentre si tentavano approcci diplomatici, si scontrarono, dopo la distruzione di Teglio, a Caiolo, a tramontana di Sondrio.
La battaglia, a cui probabilmente parteciparono i Balbiano, ebbe un esito diversamente giudicato dagli storici grigioni e da quelli valtellinesi, certo però tale da indurre gli invasori a firmare ad Ardenno nell'aprile 1487 capitoli di pace (44).
La terza incursione grigiona avvenne dopo dieci anni, e fu il preludio al definitivo impossessarsi delle valli dell'Adda e del Mera, che sarebbe avvenuto nel 1512.
Mentre Ludovico il Moro era ormai impegnato a parare l'imminente invasione francese, il 24 maggio 1499 avvenne la battaglia di Calven tra l'imperatore Massimiliano e gli Svizzeri.
Duramente sconfitto, mentre i medici di Chiavenna erano chiamati a curare i feriti e il conte Annibale consentiva ai Mesolcinesi di transitare per il passo della Forcola (45), l'imperatore col trattato di Basilea del 22 settembre dovette riconoscere l'indipendenza ai Cantoni.
Proprio allora lo Sforza, battuto dal re francese Luigi XII, risaliva la Valtellina per riparare presso Massimiliano.
L'estinzione dei Balbiani in Chiavenna
Impossessatosi del ducato di Milano, Luigi XII investiva del contado di Chiavenna il suo generale, maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, a condizione che questi desse in cambio ai conti Balbiano le terre di Isola, Ossuccio, Colonno, Lezzeno, Sala e Tremezzo. L'atto dell'accordo tra il marchese Trivulzio e il conte Annibale a nome anche del fratello Antonio venne rogato il 20 gennaio 1500 dal notaio Galeazzo Brugora ed è conservato nella biblioteca Trivulziana (46). Non era tuttavia ancora reso attuale tale contratto di cambio che Ludovico Sforza scendeva in Italia per tentare la riconquista del ducato. Annibale, che gli era rimasto fedele, pose in armi a suo favore molti terrazzani e tolse ai Francesi la torre di Olonio, spronando gli abitanti dei dintorni a seguire il partito di Ludovico. Le Tre Pievi aderirono e le navi da guerra che si trovavano a Sorico vennero trasferite a Riva di Chiavenna, pronte a trasportare a Como le truppe che si attendevano dalla Germania.
Impossessatisi i Francesi nuovamente del ducato dopo la battaglia di Novara, Annibale ritentò la riscossa, ma perse la vita, forse nel corso di un combattimento, forse, come altri affermano, travolto da slavine di neve sui monti di Dongo (47).
Il fratello Antonio, con una protesta del 5 novembre 1506, dichiarava che il contratto di permuta del contado di Chiavenna con le pievi di Isola e di Lenno era da considerarsi nullo perché estorto a lui e al fratello dalla forza e dal timore e quindi rivendicava i diritti a sé e ai suoi discendenti sul contado (48).
La questione non ebbe seguito e il feudo fu definitivamente perduto, anche perché non risulta che Antonio ebbe prole, e Annibale era morto con una sola figlia, donna Lodovica, vivente a Varenna, mentre, tuttavia, in Chiavenna continuarono a fiorire dei Balbiano di rami illegittimi.
In questi si distinse particolarmente Alessandro, nato da Baldassare, quel figlio naturale di Gabriele che era stato al centro della grande faida con i cugini: egli divenne infatti cameriere del duca Massimiliano Sforza che lo infeudò nel 1514 della valle del borgo Lavizzaro nel Novarese, e lo nominò nel 1522 podestà di Como, dove nella sua casa in piazza San Fedele si conserva ancora lo stemma di famiglia. Come prova una pergamena rilasciatagli da Antonio de Leyva il 22 febbraio 1528, già posseduta dal Crollalanza, lo stesso Alessandro era capitano di un centinaio di soldati alemanni (49).
Un ramo, pure illegittimo, discendente dal conte Giovanni, che oltre ad Antonio ed Annibale aveva un figlio naturale, anche lui Alessandro, fiorì in Chiavenna sino alla fine del 1700, spegnendosi con Carlo, come si vede dall'unito stralcio genealogico.
Anche in quel ramo si ebbe nel 1479 un pretore di Como, Antonio, e nel 1584 un giureconsulto a Sondrio, Annibale, nomi ambedue ricorrenti nella genealogia di Giovanni Balbiano.
A Varenna nel 1544 moriva donna Ludovica, figlia di Annibale, in possesso dei beni paterni in quel borgo; testando il 31 marzo 1544 ella aveva istituito eredi universali Giovanni Maria Scotti e Agostino Serponti col patto che abitassero nella casa della Balbiani e, in caso contrario, passassero le sostanze alla fabbriceria della chiesa di San Giorgio di Varenna. Svisate le intenzioni di Ludovica, ne nacquero liti, che si protrassero sino al XVII secolo (50).
Il cognome Balbiani rimase in Chiavenna sino ai nostri giorni, portato come secondo dalla famiglia Torricella, giunta da Como alla fine del 1600, assunto non si sa se per parentado o per eredità. Oggi è scomparso, non più tenuto dai Torricelli presenti in val San Giacomo.
I Balbiani di Agliate
Se la fine dei discendenti del conte Giovanni Balbiano «miles et eques» ben si addice alla sua figura, scialbe e consoni al carattere del loro capostipite Gabriele, fratello di Giovanni, sono le vicende dei conti Balbiano, signori del feudo di Agliate di qua del Lambro, fioriti, a partire da Angelo, con sette generazioni, vissute per lo più in Milano e tramontate nella seconda metà del 1700.
Notizie di loro si trovano in documenti dell'Archivio di Stato di Milano, ma poche e insignificanti: mettono solo in evidenza l'unico interesse della famiglia di cavar denaro dai sudditi, ossia dagli abitanti di Carate, Giussano, Robbia, Albiate, Sovico, San Giovanni, Baraggia, Molini di Peregallo.
Mentre si trovano nel carteggio giuramenti di fedeltà richiesti dai donatori spagnoli, accordi su possessi allodiali nelle Tre Pievi, l'unico documento interessante, perché è un indizio dell'atteggiamento della popolazione locale, è una richiesta dei figli di Nicolò di poter portare armi e archibugio da ruota: erano minacciati di morte con il loro podestà da quattro assassini di strada, gente locale che già aveva perseguitato il padre (51). Ora, col feudo ai Balbiani erano stati concessi i dazi dell'imbottato, del pane, del vino e delle carni; si può quindi comprendere come ciò potesse suscitare l'avversione della povera gente, tanto più che il denaro riscosso dai Balbiani veniva tutto impiegato per la loro vita in Milano, mai per opere pubbliche.
L'ultimo dei Balbiani signori di Agliate fu Benedetto, canonico della collegiata di Santo Stefano in Milano e con la sua morte, avvenuta nel 1764, il feudo fu devoluto al fisco (52).
I Balbiani di Livorno e il loro emergere
Appare qui un'altra famiglia, in cui è tipico il sentimento comune a tutti i Balbiani, di emergere nel contesto sociale. Premetto che a partire dal 1600 nei documenti il nome del casato lascia la forma «de Balbiano» e sia nei documenti, ormai tutti in volgare, sia nei libri storici diventa «Balbiani».
Tale è accolto nell'anagrafe dello Stato italiano, la quale, invece, tutt'oggi, indica come «Balbiano» gli appartenenti a quella famiglia piemontese che, originata nell'antichissimo paese di Balbiano nel territo rio di Chieri, ottenne col titolo marchionale il feudo di Cavalcavagno nel 1670 e i cui discendenti comuni fioriscono ancora nella zona torinese (53).I Balbiani, quindi, ora abbastanza diffusi in Italia, sono tutti discendenti, con passaggio da Varenna, dagli originari abitanti dell'Isola Comacina.
Nella diaspora, dunque, che nel passato vide gli Isolani lasciare il Lario, troviamo nel 1479 Gabriele e Lorenzo figli di ser Giacomo Balbiani partire da Varenna per il Bolognese (54). Analogamente dei Balbiano lasciarono il borgo del Lario all'inizio del 1500 per stabilirsi a Poggibonsi, tra Firenze e Siena, dove nel 1510 troviamo priore Piero, poi morto nel 1519; natogli un figlio, Giorgio, nel 1552, la famiglia si trasferì a Livorno con Sebastiano, figlio di lui, che divenne uno dei dodici governatori della città e nel 1603 provveditore generale, commissario di sanità, castellano del Fanale e infine gonfaloniere.
La famiglia, che continuava a dare personaggi di grande importanza, tra i quali Ludovico, capitano di nave del granduca di Toscana nel 1691, Giuseppe nato nel 1596, dottore in medicina, Ludovico nato nel 1637, capitano, Adriano suo fratello canonico del duomo, viveva in un palazzo della via grande di Livorno, sulla facciata del quale sotto i busti dei granduchi Cosimo, Francesco e Ferdinando si leggeva una lapide a ricordo di quanto fatto a sue spese nel 1713 da Sebastiano Balbiani.
I fratelli Tommaso e Sebastiano figli di Lodovico avevano di loro appartenenza la cappella della S. Concezione nella Chiesa di Santo Antonio di Livorno, sulla sinistra della quale avevano fatto affrescare lo stemma di famiglia.
Sebastiano, chiamato da Federico I a dirigere il teloneo regio, aveva a suo carico realizzato opere pubbliche e nel 1705 aveva fatto mettere per suo ricordo nel duomo di Livorno una lapide, in cui vantava la sua discendenza dai conti di Chiavenna (55).
Conte si faceva chiamare anche Lodovico che, console in Algeri e quindi a Napoli, viveva a Pisa nel 1805, e, vantando quel titolo, fu chiamato a Pontedera a tenere a battesimo una figlia di altro Balbiani, di cui scriverò.
Benedetto, fratello di lui, gonfaloniere di Livorno, approssimandosi la morte del vero conte Benedetto, ultimo discendente della linea dei signori di Agliate, presentò il 26 giugno 1758 all'imperatore d'Austria una istanza perché gli fosse assegnato quel feudo", offrendo la somma di 3000 fiorini e allegando un atto notarile con la genealogia e lo stemma (56).
In quella genealogia, che il Crollalanza accoglie, pur essendo un attento araldista, Piero, priore in Poggibonsi nel 1510, si attacca al conte Giorgio, fratello di Antonio, che aveva avuto nel 1406 la contea di Chiavenna.
Due punti vanno messi in evidenza: è impossibile che cento anni corressero tra due generazioni; se, per assurdo, così fosse, si dovrebbe dedurre che Piero era figlio illegittimo di Giorgio, quindi senza diritto al titolo di conte.
O che ciò fosse stato rilevato dalla magistratura, o che l'offerta non interessasse lo Stato asburgico, certo è che nel 1767 fu emessa una sentenza a favore del fisco contro diversi pretendenti (57).
I Balbiani di Pontedera e i loro rapporti con Napoleone
Lasciato così il ramo di Livorno, dove ancor oggi vivono dei Balbiani, passo ai Balbiani di Pontedera. Qui, verso la metà del 1700, si erano trasferiti, provenendo da Lierna, i fratelli Giuseppe e Giambattista, che diedero vita a una numerosa discendenza, ricca di illustri personaggi.
Dopo due generazioni si spegneva nel 1830 la famiglia di Giambattista con Pietro, dottore in medicina e poeta, che lasciò importanti scritti di medicina e poesie edite in Firenze, avendo alla sua morte, come riconoscimento degli amici e degli ammiratori, un busto e una epigrafe murati nella chiesa primaziale di Pontedera. Quella di Giuseppe invece diede un altro Giuseppe, nato nel 1767 e morto nel 1851, dottore in legge, notaio: vissuto in tempi napoleonici, fu vicario in Rocca San Casciano, «maire» di Pontedera nel 1808, ricevitore dei diritti riuniti del circondario e, nominato prefetto dell'isola d'Elba, ricevette l'imperatore Napoleone il 3 maggio 1814 al suo ritiro nell'isola; conosciutone il valore, il sovrano lo nominò Intendente generale dell'isola, presidente della Corte d'appello e dell'Amministrazione sanitaria, direttore della polizia generale e della Giunta di governo. Al suo ritorno in Francia, Napoleone, come riconoscimento dell'opera di lui, lo nominò il 24 aprile 1815 cavaliere della legion d'onore (58).
Restaurato il governo granducale, Giuseppe, ripresa la sua ascesa, fu nel 1820 nominato gonfaloniere e come tale fece costruire il grandioso ponte sul fiume Era, la caserma militare e altre opere; morì il 16 settembre 1851.
Il figlio Paolo fu dottore in legge e avvocato ed ebbe nel 1841 l'ufficio di vicario di Campiglia, nel 1848 di pretore a Cortona e poi a Prato e infine di auditore nei tribunali di Grosseto e di Arezzo. A Paolo seguì il figlio Eugenio, dottore in legge e avvocato (59).
L'Adami in «Cenni genealogici sulle famiglie di Varenna» ricorda la morte sul campo di Eugenio di Pontedera, sergente delle truppe toscane, a Curtatone e Montanara. Benché il nome ritorni in Eugenio, figlio di Paolo nato nel 1849, non sappiamo come inserire quel valoroso nella genealogia del Crollalanza; era probabilmente fratello di Paolo (60). Anche a Pontedera tuttora vivono i Balbiani.
Conclusa così l'esposizione sulla diffusione dei Balbiani dalla loro culla originaria dell'Isola Comacina all'intera Italia, dove ora il loro nome emerge in molti campi delle attività economiche, scriverò nel prossimo numero di «Clavenna» sul loro fiorire di oggi sul Lario e particolarmente illustrerò la pittoresca figura di Antonio Balbiani, il primo giornalista delle nostre terre, di cui nel 1989 si celebrerà a Bellano il centenario della morte.
Fonti e bibliografia
ACL = Archivio capitolare laurenziano di Chiavenna.
ASM = Archivio di Stato di Milano.
BCC = Biblioteca civica di Como.
«Clavenna» = Bollettino del Centro di studi storici valchiavennaschi.
NBPS = Notiario della Banca popolare di Sondrio.
PSSC = Periodico della Società storica comense.
V. Adami, Varenna e Monte di Varenna, Milano 1927.
V. Adami, Cenni genealogici sulle famiglie di Varenna e del Monte di Varenna, Milano s.d. (probabilmente 1924).
P. Buzzetti, Il palazzo biturrito dei conti Balbiani e le mura di Chiavenna, Como 1916.
E. Besta, Le valli dell'Adda e della Mera nel corso dei secoli, Pisa 1940.
C. Cantù, Storia della città di Como, Como 1829.
E. Casanova, Dizionario feudale, Bologna 1970 (ristampa Forni).
G.B. Crollalanza, Storia del contado di Chiavenna, Milano 1867.
G.B. Crollalanza, I conti Balbiani di Chiavenna, 1876.
E. Mazzali, Storia della Valtellina e della Valchiavenna, I, Sondrio 1968.
S. Monti, I Balbiano conti di Chiavenna, PSSC, voi. XIII, pp. 119 e segg.
T. Salice, La valle di Lei in alcuni documenti del '400, «Clavenna», IV (1965), pp. 7-38.
G. Scaramellini, Sulle mura quattrocentesche di Chiavenna, «Clavenna», IV (1965), pp. 39 e segg.
G. Scaramellini, Le mura sforzesche di Chiavenna, NBPS, 1974, n. 4, pp. 46 e segg.
G. Scaramellini , Ingegneri e maestranze alle difese sforzesche in Valtellina e Valchiavenna, «Architettura Archivi», n. 2, Padova 1982.
Note
1) Salice, pp. 10-11.
2) T. Salice, p. 13.
3) P. Buzzetti, p. 10.
4) P. Buzzetti, pp. 22 e segg.
5) P. Buzzetti, pp. 21-22.
6) Tale presenza si deduce da atti rogati il 22-5 e il 15-10-1473 dal notaio Bartolomeo Lupi, conservati in ACL. Vedi anche P. Buzzetti, p. 70, nota 137.
7) P. Buzzetti, pp. 10 e segg.
8) E. Besta, pp. 217-18.
9) G. Scaramellini, Ingegneri e maestranze..., p. 5.
10) G. Scaramellini, Ingegneri e maestranze..., p. 6.
11) G.B. Crollalanza, I conti..., p. 37; P. Buzzetti, p. 66, nota 16.
12) P. Buzzetti,p. 12.
13) P. Buzzetti,pp. 12-13.
14) P. Buzzetti, p. 13.
15) P. Buzzetti, p. 14.
16) S. Monti, pp. 119 e segg.
17) S. Monti, nota 1, p. 119.
18) S. Monti, pp. 122-23.
19) C. Cantù, pp. 467-68.
20) G.B. Crollalanza, I conti..., pp. 38-39.
21) Lettere ducali viscontee, PSSC, vol. IX, p. 45, lettera CCCXL del 21-2-1421.
22) Lettere ducali viscontee, PSSC, vol. X, p. 75, lettera CCCCXLIX del 3-8-1422.
23) G.B. Crollalanza, Storia..., p. 138.
24) S. Monti, p. 124.
25) G.B. Crollalanza, Storia..., p. 138 con nota 2.
26) P. Buzzetti, p. 15.
27) P. Buzzetti, pp. 15-16.
28) P. Buzzetti, p. 17.
29) P. Buzzetti, p. 17.
30) P. Buzzetti, p. 18.
31) ASM, Autografi, riportato integralmente da P. Buzzetti, pp. 23-49.
32) P. Buzzetti, p. 49.
33) L'investitura al conte Angelo venne rogata con strumento 12-2-1478 dal cancelliere ducale Antonio Gerardi. Vedi A. Casanova, p. 7.
34) P. Buzzetti, pp. 50-55.
35) ASM, Registro ducale 111, f. 442, 18-8-1477.
36) P. Buzzetti, p. 55.
37) E. Besta, p. 269
38) Vedi di P. Buzzetti l'opera sul palazzo Balbiani e di G. Scaramellini, Sulle mura...; Idem, Le mura sforzesche...; Idem, Ingegneri e maestranze...
39) Vedi anche l'investitura del 1467 in P. Buzzetti, p. 112.
40) E. Besta, pp. 272-76.
41) G.B. Crollalanza, Storia..., p. 144.
42) G.B. Crollalanza, Storia..., pp. 144-45.
43) E. Besta, p. 285.
44) E. Besta, p. 287.
45) E. Besta, p. 310.
46) P. Buzzetti, p. 56 e anche G.B. CROLLALANZA, I conti..., pp. 40 e segg.
47) G.B. Crollalanza, Storia..., p. 153.
48) G.B. Crollalanza, Storia..., nota 1, p. 154; G.B. Crollalanza, I conti..., p. 44.
49) G.B. Crollalanza, I conti..., p. 34.
50) V. Adami, Varenna..., p. 126.
51) ASM, Cartella Balbiani.
52) E. Casanova, p. 7.
53) G.B. Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, Pisa 1886: al nome Balbiano di Chieri.
54) V. Adami, Varenna..., p. 101.
55) G.B. Crollalanza, I conti..., p. 35.
56) ASM, Cartella Balbiani.
57) E. Casanova, p. 7.
58) G.B. Crollalanza, I conti..., p. 36.
59) G.B. Crollalanza, I conti..., p. 35 e tabella genealogica.
60) V. Adami, Cenni genealogici..., p. 12.