Il castello di Lecco e Il ponte sull'Adda

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Contributo di Pietro Pensa in Larius, tomo II, vol. II, Milano 1966


Copertina
Il Castello di Lecco

Tra le opere dell'uomo che nei tempi medioevali dovettero dare pittoresco aspetto allo stupendo paesaggio del Lario, le due più cospicue sono purtroppo completamente scomparse, l'una distrutta dalla furia di una tremenda vendetta, l'altra caduta in abbandono prima, perduta poi per il prevalere di nuovi interessi che non conobbero amore ad antiche vestigia: vogliamo dire di quel magnifico agglomerato di fortezze, di chiese e di case che fu l'Isola Comacina, e del Castello di Lecco, superba cinta di mura e di torri attorno ad un borgo di gente guerriera ed agguerrita.

Accanto a tanta irrimediabile perdita sta, per l'antico nobile Castello, il silenzio o l'estrema pochezza di documenti, per cui lo storico, anche per tempi prestigiosi quali quello dei Conti di Lecco, è costretto a ricorrere a deduzioni e a riferimenti e ad attenersi a vaghe supposizioni.

Solo nel basso Medioevo le notizie infittiscono e stanno a riprova dell'antica grande importanza del Castello.

Cercheremo, in questa succinta memoria, di dare di esso un quadro quanto più organico possibile dalle origini agli anni della costruzione del Ponte, che ne sostituì la funzione di protagonista della storia di Lecco.

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Il ponte sull'Adda

Se la furia iconoclasta di rinnovamento e di espansione, così peculiare dei suoi abitanti tutti tesi alle industrie e ai commerci, ha distrutto in Lecco ogni vestigia dell'antico «nobile castello pieno di popolo», pure una grande opera ha superato i secoli, testimonio e protagonista di una storia non ingloriosa: il ponte Azzone Visconti, che i Lecchesi in passato amavano chiamare «il Ponte grande» e che, dopo la recente costruzione dell^altro più a settentrione, tutti distinguono ormai col nome di «ponte vecchio». Sebbene mutila delle pittoresche sovrastrutture di difesa di un tempo, la grande opera, nell'accogliere il passeggero che giunge da Milano, sembra ammonire, con la maestosità delle undici arcate di medioevale disegno, che Lecco, anche se oggi ha una sua moderna struttura di opifici, di quartieri e perfino di grattacieli, è una città di storia.

E se il nuovo ponte ha convogliato a sè, con la sua ampia carreggiata, il movimentato traffico degli automezzi, i Lecchesi quando si recano a Malgrate amano ancora attraversare il loro vecchio Ponte e soffermarsi qualche minuto appoggiati al parapetto: vuoi per un istintivo bisogno di tregua nell'affanno giornaliero, vuoi per partecipare all'attesa di un pescatore, vuoi per osservare il passaggio di una barca, vuoi forse infine per un breve riflettere, suscitato dal fluire del fiume, sulle vicende umane di ieri e di oggi.

Invero, come le acque sono trascorse sotto le molte arcate or quiete nelle magre di fine inverno, or tumultuose nelle piene d'autunno, così ore di pace ed ore di angoscia e di lotta si sono alternate nel tempo sull'antico ponte, dal lontano anno in cui Azzone levò i piloni dal fiume sino a questi giorni nostri in cui la città di Lecco tanto partecipa, con l'operosità e con la genialità della sua gente, alla fiorente vita della nazione.

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