Gli abitanti lariani al principio del Novecento

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, Gli abitanti lariani al principio del Novecento in "A Como ieri e oggi", 1980, pp. 47-51. Un testo di Pietro Pensa che racconta il divario nei territori del Lario tra i borghi delle rive e i villaggi di montagna e delle valli all'inizio del Novecento.

Mai il divario tra borghi delle rive e villaggi della montagna e delle valli fu così forte come negli anni tra questo e il passato secolo.

Nei primi infatti, ai proventi del mercato, che da sempre li aveva alimentati quali centri di approvvigionamento dei secondi, si erano aggiunti quelli di non poche industrie, setificio tessitura meccanica, nonché del turismo che andava rendendo celebre il Lario nei ricchi Paesi d'Europa, in Inghilterra soprattutto; senza dir poi del tanto più felice territorio, per viti, per ulivi e per acque pescose.

Belle case, dunque, alberghi di gran lusso, negozi di ogni genere e ben provvisti. Tutto era lindo nell'abitato: le stalle, che ancora mezzo secolo addietro — e lo si legge negli atti dei notai — vi stavano in gran numero, erano ormai confinate nelle frazioni marginali di collina, cosicché il forestiero era stupito dal decoro dei luoghi.

I villaggi dell'interno, all'opposto, eran decaduti. Anche le poche case signorili, scomparse quasi tutte le famiglie abbienti, o emigrate o ridotte senza soldi per la grande recessione, si erano trasformate in povere abitazioni comuni, che a mala pena con volte e colonnette, o con un soffitto a cassettoni, o con un cortiletto a pozzo, o con un androne blasonato, lasciavano intravedere un passato splendore.

Se si legge una guida di quegli anni, appare viva l'immagine dei nostri siti lungo il lago, d'estate soprattutto. Ecco i borghi più industriosi, Gravedona, Dongo, Dervio e Bellano, questa « la piccola Manchester del Lario », e poi Mandello, tutti con « superbi setifici, fabbriche, mulini, seghe e filature; borghi accoglienti e ricchi, e chi vi sta non ha a desiderare i comodi della città perché si trova quel che procura una vita agiata ed anche che serve a solo diletto: ... alberghi, ristoranti e crotti », negozi a non finire, « granaglie, pane, carni, salsamenteria, droghe e confetture », e poi « stoffe, tele, lane, mercerie, calzature, cappelli, mobili, ebanisteria, chincaglieria » e persino « oreficeria ». Né mancavano ufficio postale, farmacia e dottore; belle scuole e anche i primi asili d'infanzia del Lario.

Era vicina, poi, l'apparizione della prima illuminazione con l'elettricità.

Più vivace ancora era l'aspetto dei luoghi di soggiorno di Bellagio, di Menaggio, della Tremezzina: « un via vai di omnibus e di carrozze con regolata entrata ed uscita dei piroscafi dai pontili », un partir di « gondole per gite sul lago » e poi 1'« accorrere festoso ogni giorno a vedere lo sbarco e l'imbarco con il divertimento della Posta che reca i giornali, dove c'è interesse per tutti, l'ultimo dispaccio per l'uomo politico, il listino della Borsa per l'uomo d'affari, la cronaca cittadina ed anche le lettere che confortano tanti cuori ».

Attorno, nel bel paesaggio di acqua e di monte, le tante ville, gli stupendi giardini allora nel pieno del loro fulgore.

Né sono queste, che ho raccolto qua e là, descrizioni fatte per attirare il forestiero. Io ricordo di persona la vita sul lago di quando ero ragazzo, non meno intensa di quella di oggi nei giorni festivi e di vacanza, certamente più pittoresca e garbata. Se, però, salivi anche poco su per le mulattiere verso le valli, il contrasto, già al primo villaggetto che incontravi, era stridente.

Nelle guide della montagna si descrivevano gli itinerari, le preziosità della flora e della fauna, ci si soffermava sulle bellezze del paesaggio, ma si sorvolava sugli abitati: si parlava dei personaggi famosi che vi ebbero natali, di fatti storici, di qualche vecchia leggenda, degli straordinari affreschi delle chiese, mai della dura misera vita della gente che vi stava.

Persino di Introbio, il centro vallivo più importante del Lario, di cui ancora nel '500 un cronista scriveva che « trattandovisi assai mercanzie, di ferro, di panno, di bestiame, di biade, di vini ed altre cose, vi era sempre gran concorso di popolo, come se si fosse in una città », nessun cenno si trova. E dello squallore di quel bel paese negli anni venti fui pure testimonio; appena appena si cominciava a parlare di Lanzo, di Barzio e di Magreglio, le future più note stazioni di villeggiatura.

Ad illustrare quale abisso vi fosse tra un paese di montagna e il borgo che gli stava sotto, a lago, credo che meglio di una descrizione valga raccontare un episodio, fatto di nulla invero, ma proprio per ciò più significativo. Me lo narrò mio padre che ne fu protagonista, di nove anni appena, nel 1887.

Mio nonno Pietro, dopo avere a lungo abitato a Milano, era tornato ad Esino per essere vicino al padre vecchio e malandato e alla sua morte era rimasto lassù, occupandosi, oltre che delle terre, di scuola e di Comune.

Esino, ricco un tempo quando ancora era passaggio obbligato della strada della Riviera e vi fioriva l'arte del ferro, stava allora all'estremo della depressione. Mio padre, ragazzetto saggio, come poi fu saggio in tutta la sua vita, venne mandato a frequentare la scuola nel collegio Giglio di Vendrogno, l'unico che nei dintorni assicurasse un buon avviamento per studi successivi.

Pensate che Esino dista da Vendrogno pochi tiri di schioppo, ma vi son di mezzo un monte ed una valle per cui occorrono tre ore buone di cammino per passar dall'uno all'altro sito. Mio padre percorreva quella strada, una mulattiera erta e faticosa, accompagnato dalla mamma, a settembre: davanti il muletto di famiglia con i sacchi dei libri e della roba, dietro lui e lei che gli faceva le raccomandazioni per un buon comportamento.

Sarebbe tornato per brevi ferie ai Morti, a Natale, a Pasqua, poi finalmente, a lungo, per le vacanze estive.

A Vendrogno nei mesi della scuola, a Esino d'estate, lui sentiva sempre parlare di Bellano come del luogo delle meraviglie. La gente dei due poveri paesi, come vedremo, viveva in autarchia; i pochi soldi che riusciva a guadagnare con burro, formaggio e legna venivano spesi al mercato di laggiù, a Sant'Andrea, prima dei giorni dei Santi e dei Morti, per comperare quel che proprio non si riusciva a far da sé sulla montagna; paioli per la polenta, conche di rame per il latte, falci, scuri, picconi e così via; se qualcosa avanzava, poi, un fazzoletto di testa fiorito per la donna, un cappello « trentino » e una pezza di fustagno per gli uomini facevan la felicità della famiglia.

I ragazzetti sognavano pur loro quella fiera; vi andavano coi genitori, tutti in processione, e trascinavano sulle spalle una fascina; la vendevano laggiù per cinque o dieci centesimi e con quelli compravano leccornie, un fischietto, e se la mamma aggiungeva qualcosa, il primo falcetto della vita.

A casa mia le compere si facevano in città, a Como o a Lecco, così che mio padre più che Esino e Vendrogno non aveva ancor veduto. Tanto, però, aveva sentito parlare di Bellano che quell'anno decise di andarvi pure lui a Sant'Andrea, a tutti i costi.

Fatto si è che il giorno prima tolse due fascine di legna, le legò per bene, mise due lunghi legni per le spalle, poi le nascose in un cantuccio. La notte si svegliò le mille volte per paura che il sonno lo tradisse e all'alba sgattaiolò dalla casa, prese il suo carico e si unì ai ragazzi della famiglia che lavorava i nostri siti a mezzadria.

Mi raccontò che Bellano gli parve una meraviglia, e i « millegusti » colorati che riuscì a comprare buoni come mai ne provò più. A sera, naturalmente, aveva preoccupazione a ricomparire; giunse a casa che tutti erano a tavola, il suo posto era in attesa e lui vi si sedette. Suo padre, mi diceva, gli domandò come era andata e la fece raccontare. Ancora si inteneriva a dirmi della bontà di lui, mio nonno Pietro: al mattino aveva saputo con chi il ragazzo era in compagnia e si era tranquillizzato, forse contento che il figlio, tanto saggio, avesse pure delle iniziative.

Così vivo era il racconto che io pure quando vidi Bellano per la prima volta col suo mercato, il bel porto, il battello, la stazione, le carrozzelle per il forestiero e le slitte per condurre i villeggianti sulle mulattiere, trovai il borgo più bello di Milano!