Folclore e storia di un paese della nostra montagna: le origini

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Pietro Pensa, Folclore e storia di un paese della nostra montagna: le origini in "Rivista di Lecco", anno XVI (1957), n. 6, pp. 7-10.

Le origini

Il più cospicuo avvenimento protostorico in Lombardia fu certamente la invasione gallica del IV secolo a. C.

La Valle padana sin dai più lontani tempi preistorici aveva rappresentato una terra di periferia a cui erano giunte con ritardo le ondate delle varie civiltà in isviluppo. Nel paleolitico superiore sembra che vi si fossero spostate le genti liguri, diventandone i primi abitatori. Quindi, attorno al 2.000 a. C, vi si erano incontrate le correnti agricole irradiantisi dalle terre poste attorno ai grandi fiumi Eufrate e Nilo, l'una, detta di Polada, attraverso i Balcani, entrando dalla Francia orientale, l'altra, detta della Lagozza, attraverso l'Iberia, entrando dalla Francia meridionale; esse vi avevano portalo l'agricoltura alla zappa di tipo democratico, l'allevamento del bestiame, l'arte della ceramica, la tessitura e i primi elementi della metallurgica. Si erano poi andate formando le civiltà metallurgiche di origine balcanica, prima quella del bronzo, splendida nell'Italia del sud e via via più povera verso il settentrione, quindi quella del ferro detta anche di Golasecca.

E' qui interessante notare, per comprendere i ritrovati di Esino, come all'inizio dell'età del ferro fosse apparso in Lombardia il rito crematorio. Rito nato sulla mela del II millennio a. C. nella sfera dei metallurgisti anatolici, i quali consideravano il fuoco come divinità purificatrice che facilita il processo di resurrezione e di rinascita, era venuto in Europa attraverso l'Iberia e i Balcani, giungendo in Italia sulle sponde adriatiche nell'età del ferro, riuscendo a poco a poco a soppiantare, pur senza completamente sopprimerlo, il rito inumatorio.

Verso il IV secolo a.C., infine, l'evoluta civiltà etrusca, di tipo urbano, già affermatasi durante il VII secolo nel Lazio, era andata espandendosi in Lombardia, dove, probabilmente nel V secolo a. C, aveva fondato la sua roccaforte più occidentale, la città di Melpum, forse là dove sorge l'attuale Melzo.

Tali erano le condizioni della valle padana quando, nel IV secolo a. C, si verificò il grande fenomeno della invasione gallica.

Appartenevano i Galli o Celli alla famiglia indoeuropea ed avevano avuto per culla il medio Reno. La loro civiltà, di tipo aristocratico, barbarica e pur fastosa, con forme neomatriarcali e culto lunare, sorta dalla modificazione della locale civiltà hallstattiana sotto l'influsso del mondo classico greco aveva avuto il suo massimo fulgore nel V secolo a.C. Essa presenta tre periodi, denominati di La Tene, da una località della Svizzera in cui furono fatti importanti ritrovamenti : il La Tene I va sino al 300 a. C, il La Tene II sino al 100 a. C, mentre il La Tene III corrisponde in Italia al tempo della romanizzazione. Non possedevano i Galli forme statali vere e proprie, una architettura evoluta, non conoscevano scrittura, ma solo istituzioni signorili primitive basate sul prestigio dei capi. Ogni popolo era diviso in tribù, ogni tribù aveva il proprio territorio, il pagus; ad ogni pagus corrispondevano uno o più vici o villaggi. Gli agi del letto erano sconosciuti, era usanza dormire per terra.

Attratti dalle più evolute civiltà balcaniche e nello stesso tempo trattenuti dalla più efficiente attrezzatura militare di quelle, i Galli, attorno al V secolo a. C., erano andati espandendosi verso la Boemia, verso le terre danubiane e, ad occidente, verso la Francia meridionale.

Si suppone che nel IV secolo a. C. gli Etruschi, impegnati nella lotta contro Roma, abbiano chiamato mercenari celtici a tenere i loro presidi nella valle padana; ciò spiegherebbe infatti l'immediato afflusso dei Galli e la loro rapida sostituzione ai dominatori etruschi quando Veio, a lungo assediata, cadde in potere di Roma (396 a. C.). Calarono i Galli dai valichi alpini occidentali (Monginevro e San Bernardo) a successive ondate, in numerose tribù: gli Insubri presero Melpum etrusco, fondarono Milano, che naturalmente nacque come villaggio, si stabilirono tra Ticino, Adda e Po; i Boi occuparono l'Emilia, i Lingoni la Romagna; i Senoni scesero sino a Roma (Brenno) e se qui non avessero cozzato la forza militare latina in ascesa, avrebbero certo occupato tutta la penisola.

Il substrato etrusco più evoluto reagì però sugli invasori: gli etruschizzati di Val Padana rimasti in contatto con i vincitori influirono sui loro usi e costumi: i Galli, che sul Reno avevano assorbito le influenze della Grecia, si trovarono in Italia in diretto contatto con la civiltà urbana. Si andò così lentamente formando una civiltà gallo-etrusca che assunse a poco a poco molte forme rituali e religiose nuove.

Accanto al grande fenomeno gallico nella Valle Padana, che rappresentava una forma periferica di espansione della civiltà celtica indigena, si andava frattanto sviluppando la giovane civiltà latina. Così che fu fatale l'urto tra Roma e i Galli che si erano spinti sin nel cuore dell'Etruria. Poco prima dell'inizio della seconda guerra punica, vicende belliche tra il 225 e il 222 a. C. portarono i Romani sin nei cuore dell'Insubria, dove conquistarono Milano. Poi i vincitori si prepararono all'organizzazione civile; la calata di Annibale e la sconfitta sulla Trebbia li costrinse a ritirarsi; Milano tornò agli Insubri alleali dei cartaginesi.

Pattata la bufera, i Romani, ormai convinti della necessità, per la loro sicurezza, di procurarsi il saldo possesso dell'Italia Settentrionale, ripresero la campagna, sino a costringere gli Insubri a patti nel 191 a. C.

E' da ritenersi esagerata l'affermazione di Polibio che i Galli della Cisalpina vennero scacciati dalle pianure attorno al Po, tranne che da pochi luoghi posti ai piedi delle Alpi. Certo è però che l'avanzata romana sospinse gruppi gallici nei recessi prealpini; sorsero in tal modo nuovi villaggi celtici, tra cui quello di Esino.

Lo valle, appartata, ben difesa al suo imbocco dalle asperità della montagna, ampia nella sua testata, solatia, riparata dai venti, ricca di una fertile plaga che ad un limitato numero di abitatori poteva dare tutto quanto necessario per vivere, dovette certo apparire a chi cercava un rifugio sicuro quanto di meglio fosse da desiderarsi. I fuggiaschi presero stanza nella parte alta della morena su cui è adagiala la frazione superiore dell'attuale paese.

Essi lasciarono a testimonianza della loro esistenza una vasta necropoli che negli ultimi decenni è andata a poco a poco scomparendo per il sorgere di nuove abitazioni. I ritrovati archeologici, segnalati per la prima volta da Pompeo Castelfranco sul finire del secolo scorso (B.P.I. 1886 pag. 195 e segg.) si riferiscono a tombe per lo più ad incinerazione diretta, assai modeste nei confronti di quelle delle più antiche necropoli celtiche in cui vi era dovizia di monili preziosi; ridotti alla vita di agricoltori, di boscaioli e di pastori, i primi abitanti di Esino deposero con il morto le suppellettili abituali, ciotole, olpi e pialli con cibi e bevande, gli attrezzi di lavoro. Pure è notevole la presenza anche di spade, di scudi, di braccialetti e di altri monili bronzei di pregevole fattura. E' assai interessante rilevare, da recenti ritrovati, come le sepolture dei capi fossero del tipo a cassetta di beole, notevolmente fornite di oggetti, mentre quelle dei sudditi, disposte a raggerà sotto le prime, fossero semplici buche nello strato sabbioso sottostante all'humus, nelle quali si raccoglievano i resti del rogo; nessun oggetto qui, a causa certo della povertà dei parenti, accompagnava il defunto.

Come negli anni subito seguenti alla conquista romana eran venute formandosi nella pianura padana colonie latine accanto a nuclei gallici sopravviventi, dando luogo al periodo di La Tene III, cioè della romanizzazione, così, con ritardo, si andò delineando anche nella valle di Esino la forma di civiltà gallo-romana.

Naturalmente, trattandosi di luogo assai appartato e di gente dalla vita rude e primitiva, il substrato preromano resistette a lungo alle correnti commerciali provenienti dal basso, cosicché anche negli ultimi periodi della romanità è facile ritrovare ancora i segni caratteristici dell'arte celtica: venne ad esempio rinvenuto, in tombe di inumato, accanto a monete degli imperatori Costantino Magno e Costante II, un braccialetto a lesta di serpe, a cerchielli, tipicamente gallico.

Non è da escludersi che la presenza iniziale di elementi romani nella valle sia da mettersi in relazione con il sorgere di fortilizi. Fra i detriti del castello che sorgeva dove è ora la Chiesa parrocchiale, venne infatti trovato un cucchiaio romano di bronzo o ligula. D'altra parte, la presenza romana nel paese si rivela abbastanza netta, vorremmo, dire quasi staccata e collaterale, sebbene molto più tarda, a quella gallica. E' significativo infatti come nella parte bassa della morena, dove sorge la frazione inferiore di Esino, le tombe siano tutte di inumato, di tipo romano, mentre nella frazione superiore la necropoli sia di incinerati, cioè nettamente gallica. D'altra parte il formarsi di due comuni nettamente distinti, che conservarono la loro individualità sino a pochi decenni orsono, posti alla distanza di neppur duecento metri l'uno dall'altro, in una località in cui gli interessi economici erano unici, con abitanti aventi carattere e abitudini e anche costituzione fisica sensibilmente diversi, aiuta a pensare che le origini dei due aggregati fossero differenti, celtica una, romana l'altra.

Si tratta forse di un'illazione un po' azzardata, ma che ha le sue giustificazioni e, insieme, un suo fascino.

Gli ultimi ritrovati gallo-romani, che per merito dell'attuale parroco Don G. B. Rocca vennero salvati dalla distruzione a cui purtroppo andarono incontro quelli dei decenni trascorsi, furono accuratamente studiali dal prof. Mario Bertolone del Museo archeologico di Varese(1). Particolarmente interessanti gli oggetti celtici trovati nel fondo Maffei, cuspidi di lancia, umboue di scudo, due spade tipo La Tene II e La Tene III, caratteristici olpi a trottola, un olpe ansato, due cesoie, un rasoio, una fibula. Altrettanto degni di attenzione i ritrovati del fondo Novali, di carattere romano, dove accanto a una tomba contenente due scheletri di grandi proporzioni, posti uno con il capo opposto a quello dell'altro e di cui uno era evidentemente di sesso femminile poiché portava all'altezza del polso un braccialetto a testa di serpe, erano raccolti in mia cameretta laterale alcune monete del tardo impero, degli oggetti e dei monili di bronzo e di argento e dei vasi fittili.

Un'accurata indagine scientifica è stata eseguita da due studiosi di metallurgia (2) sulla spada del III periodo di La Tene trovala nel fondo Maffei.

La tradizione vuole che le spade galliche fossero terribili a vedersi, ma, all'impìego pratico, né rigide né tenaci. Dalle analisi micrografiche risulta invece come l'acciaio impiegato per ricavare la spada di Esilio avesse notevoli caratteristiche: esso è paragonabile infatti a un acciaio semiduro con contenuto di 0,5-0,6 di C. e con un carico di rottura di ca. 6O Kg./mm2, il quale non abbia subito alcun trattamento di tempera. La spada, di notevole lunghezza (circa 1 m.) è a doppio tagliente e assai maneggevole per il limitato peso (Kg. 0,7) e si presenta contorta, secondo la tradizione funeraria celtica la quale voleva che l'arma fosse piegata prima di essere posta accanto al defunto.

I ritrovali gallo-romani a cui si è accennato sono ora esposti nel «Museo della Grigna» che, completamente rinnovato e riordinato, verrà riaperto al pubblico nella prossima primavera del 1958.

Note

(1) M. Bertolone - Tombe preromane e romane ad Esino Larìo - Tip. Cavalieri Como 1938. M. Bertolone - Tombe galliche a Esino Lario - Tip. Noseda Como 1954.
(2) C. Storti e E. Mariani - Una spada gallica del III periodo di La Tene. - Estratto da «La metallurgia italiana» maggio 1953.

Voci correlate