Conferenza "Il bosco e la cavra sbàgiola: folclore tradizione e antichi mestieri"

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Il bosco e la cavra sbàgiola: folclore tradizione e antichi mestieri è una conferenza organizzata a Esino Lario il 21 luglio 2011, alle ore 21 per Vestire i paesaggi.


Indice

Interventi

Marco Sampietro, Il diavolo nella tradizione popolare valsassinese

Il diavolo

Il Pupp a Piazzolo comanda al diavolo di trasformare i suoi ferri in oro, disegno

Quella del diavolo era, in passato, una presenza continua ed insidiosa. Non a caso, era proprio sulla sua persona che andavano a concentrarsi tutte quelle paure (malattia, fame, povertà, peste, guerra) che condizionavano il vivere e la mentalità di un tempo. Quella del diavolo, poi, era una paura sempre ed ovunque presente: dominava l’immaginario collettivo, teneva costantemente in ansia l’individuo, suggestionava e limitava l’azione individuale e sociale. Era lui l’essere misterioso che sovrastava minaccioso la vita. E sempre lui, il diavolo, era protagonista di tanti racconti del mondo rurale, storie dei tempi andati, storie vere, ma anche storielle comiche, favole magiche e leggende, che i vecchi raccontavano ai bambini e agli adulti nelle stalle dove, soprattutto nelle lunghe serate invernali, le famiglie contadine si riunivano alla fine della dura giornata. Oltre a queste storie, la presenza del diavolo è attestata anche nei nomi di luogo (basti citare Cost de San Martin e ol Pozz d’ol Diaol in località Mezzacca sopra Introbio e il Sasso del Diavolo o Corna del pecaa sopra Pasturo.

Il folletto

Affollava l’immaginario collettivo anche un altro essere demoniaco: il folletto. Essere favoloso che la fantasia popolare immagina di aspetto diafano e luminoso, volante nell’aria, vivace e mobilissimo, basso di statura e di carattere bizzarro, incline allo scherzo, alla burla malvagia e improvvisa, ma anche capace di azioni benefiche, disturbava la vita degli uomini ogni volta che poteva. Nelle stalle questo essere demoniaco giocava con le bestie, muli e cavalli, sottraendo loro il foraggio dalla greppia e aggrovigliando le criniere e le code dei cavalli. Ecco perché in ogni stalla, ad esempio, si teneva un agnello nero: si credeva che con la sua presenza avrebbe sventato i capricci di questo essere cattivello e dispettoso. Ma a sventare simili scherzi e soprattutto a conservare la salute degli animali i contadini si affidavano ai santi e il santo più invocato era S. Antonio Abate, la cui immagine campeggiava in tutte le stalle.

Il folletto della Torre di Introbio

La torre di Introbio in una cartolina d'epoca

Si raccontava che nella Torre di Introbio un folet, cattivello e dispettoso, si divertisse di giorno a tagliuzzare gli abiti delle donne e di notte cullasse sulla grondaia, in cima al tetto della massiccia torre medievale, un bambino che piangeva sempre. Ma la storia del folletto di Introbio è vera? Sia nell’Archivio Parrocchiale di Introbio sia nell’Archivio Pietro Pensa di Esino sono conservate copie di una relazione fatta nel 1849 dal parroco di Introbio alla Curia arcivescovile di Milano sullo strano fenomeno accaduto alla famiglia Rossi di trovar tagliati diversi abiti da uomo e da donna. Don Giovanni Battista Acquistapace si trovò di fronte a un caso particolarmente difficile (l'inspiegabile lacerazione degli abiti della famiglia Rossi e dei suoi ospiti) e mandò un “quesito” al suo superiore chiedendo direttive precise, accompagnandolo con un breve ma circostanziato rapporto. Purtroppo non si sa come è andata a finire. Fatto sta che la famiglia Rossi restò col danno di oltre per guasti agli abiti, biancherie, drappi, ecc.


Alessandro Merlini, Cercando per boschi e per carte: riscoprendo i popoli e i mestieri a Primaluna, Taceno, Esino e Brivio

Lavorazione del rame. Regione Lombardia, Fondo Ricerca De Martino, 1973

Parte essenziale nel dominio e comunione con la natura è stata la relazione con gli animali che hanno circondate le attività umane, in primo luogo supportandole ma in taluni casi frapponendosi anche in maniera violenta. Il risultato di questo epos si ritrova oggi nella combinazione tra tradizione orale e scritta, rinvenuta nei racconti delle genti più anziani e negli scritti, letterari o istituzionali, giunti fino a noi; proprio la commistione tra racconto, storia orale e scritta ci permette un diverso approccio alla ricerca della comprensione del nostro passato, attingendo alle fonti degli storici e dei personaggi più rilevanti dei tempi passati ma anche agli scritti dell’intera popolazione, protagonista e inconsapevolmente scrittrice di storia attraverso gli atti conservati negli archivi comunali.

La cavra sbagiòla si aggirò, per così dire, così a lungo che anche sulle sponde comasche cominciarono a sentire parlare di lei così spesso che nel 1937 la scrittrice Rosa Cantaluppi scrisse un racconto che raccontava le sue gesta. Non è difficile immaginare che la fantasia che partorì la presenza di tale animale si specchiava con la visione dei tanti pascoli che ogni giorno offrivano la visione di ovini lasciati a brucare, remissivi e obbedienti ai voleri dei pastori. Che pecore e capre non siano associati a pericoli per l’uomo è idea largamente condivisa, il rovesciamento di questo fornisce un classico topos per la costruzione di una favola che unisce elementi fantastici con un ambiente facilmente riconoscibile.

Il rapporto dell'uomo con la natura ha determinato uno strettissimo rapporto con la storia dei paesaggi e del lavoro, testimoniando un’evoluzione della società mediante la propria trasformazione e tramandando sia con i vari progetti di modifica del territorio, sia attraverso fiabe e leggende il proprio sviluppo. Proseguendo su di un percorso che unisce finzione con realtà storica, cerchiamo di scoprire nella documentazione conservata negli archivi ciò che possa aiutare a riflettere sulle attività presenti nei secoli passati.

Francesca Cogni e Donatello De Mattia, Giochi, filastrocche e leggende della Grigna

La leggenda della Grigna, Francesca Cogni + Donatello De Mattia // TooA, 2011

Per il progetto Panchine Raccontastorie sono state raccolte alcune storie e detti delle Grigne. Il lavoro che abbiamo fatto parte dallo sguardo: ogni storia è legata in modo stretto a una panchina collocata in un luogo preciso. Da quel punto di osservazione la storia trova una scenario, un punto di vista, uno spazio sospeso dove tutto può accadere e l'immaginazione può sovrapporsi alla realtà. I racconti suggeriscono nuovi modi di guardare il paesaggio, di abitare una piazza o di guardare il cielo, recuperando e riattualizzando antichi detti o usi.

La prima storia riguarda la leggenda dei Santi della Montagna, che percorre tutta la zona lariana e tesse la trama di una vasta rete di vette dal nome di santo, che custodisce e sorveglia il lago di Como. E' una leggenda che si evolve nel tempo e nello spazio e che appartiene a tutti i paesi, cambiando in funzione dei nomi delle montagne che li circondano.

La seconda è la leggenda della Grigna, che inserisce la formazione della montagna in una dimensione favolistica di un amore non corrisposto. Di questa leggenda esistono nella memoria popolare sfumature diverse che danno allo spasimante che vuole conquistare la bella e crudele fanciulla sulla torre, il volto di un guerriero saraceno o di un semplice cavaliere.

La terza riguarda delle possibili previsioni del tempo, che gli antichi sapevano fare in modo preciso soltanto guardando il cielo. I detti sulle nuvole e sulla pioggia possono restituirci un po' di quel sapere inconscio e sensibile che apparteneva all'uomo fino a qualche tempo fa.

La quarta è il gioco della Baletta, tipico di queste parti e ora dimenticato, tanto da rendere difficile l'interpretazione dei manoscritti su cui ci siamo basati. Abbiamo cercato di riscriverne le regole in modo semplice, in modo che diventi un gioco da fare insieme in una piazza o in un campo.

L'ultima panchina è una favola. Abbiamo scelto una fiaba classica, in cui emergesse da una parte la fauna (un lupo e una volpe), dall'altra l'ambientazione di questi monti (i boschi, le cascine, il pastore). L'aspetto moralistico è ribaltato dall'ironia e dalla furbizia plateale della volpe, che ci fa parteggiare fin dall'inizio per il povero lupo credulone.

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Materiale da scaricare

Crediti

La Conferenza "Il bosco e la cavra sbàgiola: folclore tradizione e antichi mestieri" è stata realizzata nell'ambito di Vestire i paesaggi.

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