La Val Menaggio e le Valli del Cuccio e del Rezzo nel contesto delle antiche vie di comunicazione e delle loro fortificazioni

Centro di documentazione e informazione dell'Ecomuseo delle Grigne

Pietro Pensa, La Val Menaggio e le Valli del Cuccio e del Rezzo nel contesto delle antiche vie di comunicazione e delle loro fortificazioni in La Valcavargna tra natura e storia, Besana Brianza, 1990.

Due mesi orsono ho completato uno studio sulle vie di comunicazione nei territori del bacino dell'Adda e, passatolo alla stampa, sto ora portando avanti un secondo, dedicato alle fortificazioni che nel tempo accompagnarono quelle vie. Mentre per quest'ultimo argomento ho molto materiale, per l'altro ho faticato a raccogliere notizie, perché, putroppo, il ricchissimo «fondo» conservato presso l'Archivio di Stato di Milano venne distrutto, per l'incoscienza del direttore di allora, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Naturalmente, nello studio ho trattato anche il territorio menaggino, del quale, fortunatamente, già mi ero occupato quarant'anni fa, quando ancora era possibile avere in posto informazioni sul passato. Ora, un raffronto con altre simili situazioni in Valtellina e in Valchiavenna mi ha permesso di comprendere e di rettificare quanto allora avevo supposto. A Cavargna io venni la prima volta nel 1914, accompagnatovi da mio padre, che conosceva bene i luoghi perché vi aveva trascorso i primi anni della sua carriera quale professore nel collegio arcivescovile di Tavordo. In un solo giorno, provenendo da Bene Lario, dove si trova la casetta di campagna di mia madre, salimmo a Carlazzo e, dopo una breve sosta ivi, proseguimmo per Cavargna: rimasti a colazione dal parroco, buon amico di mio padre, raggiungemmo San Lucio per scendere poi, incontrato un contrabbandiere, a Buggiolo e lungo la Valrezzo rientrare a notte in Bene. Ho di quella gita uno straordinario ricordo, di quella vivezza che divenne poi il motivo del mio interesse alle storie locali. L'arresto a Carlazzo servì a dar forma a una familiarità che io già avevo con il luogo. Mio padre, infatti, tante volte dal piazzale della chiesa di Esino mi aveva spiegato la funzione che anticamente aveva la torre su cui sorge il campanile di Carlazzo. Mentre dalle montagne del mio paese si ammirano splendidi paesaggi sulla Grigna e sul Lario, proprio le montagne stesse nascondono all'abitato sia l'una che l'altro. Dal poggio della chiesa, invece, si scorge un triangolino azzurro del lago, la riva di Menaggio con il campanile e il castello di quel borgo e, sopra, l'intera Valmenaggio con il lago di Piano, su cui campeggia Carlazzo col suo campanile. Ora, quando ero ragazzo era ancor viva ad Esino la tradizione che dove si trova la parrocchiale vi forze un castello, tanto che si diceva «andà al castell» e non «andà a la gesa», e con la torre di quel castello avesse rapporti segnaletici con la torre di Carlazzo, facendo triangolo per trasmettere notizie lungo la linea Bellagio - Menaggio - Carlazzo - Osteno e Valleintelvi - Valsolda - Lugano. Quella tradizione, attentamente illustratami da mio padre, corrispondeva a una realtà romana, che io in seguito potei dimostrare, sia per il rinvenimento durante i lavori nell'interno della chiesa di Esino della fondamenta del torrione, sia per reperti romani all'esterno della chiesa ora conservati nel museo della Grigna, sia per il toponimo della località presente in molti rogiti medievali, sia per la tipica romanità del muro della parte inferiore del campanile di Carlazzo, sia per il distacco di questo dall'edificio della chiesa e per la sua appartenenza nel vecchio catasto al comune e non alla parrocchia, sia per le dedicazioni delle chiese. Menaggio, capopieve, ha la sua battesimale dedicata a santo Stefano: Porlezza, pure capopieve, a san Vittore. A santo Stefano è dedicata anche la chiesa di Gottro, vicino a Carlazzo, a san Vittore quella di Esino. Ora, se i molti riscontri che si hanno fanno ormai ritenere che tutte le chiese battesimali di santo Stefano e di san Vittore sorsero alla fine dell'impero là dove vi erano presenze militari, ancor più certe erano tali presenze dove chiese non battesimali hanno simili dedicazioni: diversi sono gli esempi nelle valli del Lario. La dedicazione a san Giorgio della chiesetta del cimitero di Gottro fa poi pensare a un permanere delle funzioni di Carlazzo nei secoli longobardi e l'assunzione di san Fedele per Carlazzo a una continuità anche alla fine del millennio. Tale funzione, poi, doveva essere ancor viva nel primo 1500, quando continui erano i passaggi delle truppoe mercenarie tra Lario e Ceresio. Significativo in proposito era il toponimo di Carlazzo, che ancora alla fine del secolo scorso completava il suo significato di fortificazione con quello viario: Carlazzo Valsolda. Tale precisazione, da me segnalata nel 1978 e poco osservata dagli storici locali, si trova in documenti del 1700 e anche nella carta militare del 1887 e in un modo significativo mostra come il villaggio, vera chiave del Menaggino, fosse luogo obbligato di passaggio per raggiungere via terra la Valsolda. Sino a quando venne aperta la carrozzabile tra Porlezza e la Valsolda era necessario impiegare la via d'acqua, dato che nessun sentiero consentiva di superare le pricipiti rocce che sovrastano la riva. Occorreva quindi affrontare un percorso di cortocircuitazione lungo le valli. Due erano le possibilità: o salire lungo la Valcavargna al passo di san Lucio e discendere per la Valcolla a Lugano, o percorrere la Valrezzo, spostarsi a sud-ovest ed entrare in Valsolda. Mentre la prima via, data l'elevazione della bocchetta di san Lucio a m 1537 s.m. è per alcuni mesi dell'anno innevata e quindi non percorribile, la seconda, che solo in un breve tratto e per di più bene esposto ragginge i 1100 m s.m. è, se battuta, praticabile anche d'inverno. Ora, se nella seconda metà del 1800 si era affermato il concetto che univa la navigazione a vapore alla presenza di ferrovia e di corriere a cavalli, giustificando la carrozzabile Menaggio-Porlezza senza che ancora fosse resa carrozzabile la strada Regina, e quindi il percorso Como-Menaggio-Valsolda da chi aveva soldi era effettuato con battelli e con corriera, la povera gente preferiva lunghissimi percorsi a piedi, così come simili esempi non mancavano anche nel Lario orientale. Per tale ragione la strada che lungo la Val Rezzo portava in Valsolda venne frequentata sino al 1913. Fu così che io potei avere notizie su quel percorso nel 1950 da un abitatante di Carlazzo, certo Vitale Fontana, proprietario di una bettola. Dopo aver parlato con lui, ci accordammo di seguirlo insieme e una domenica mattina lui, armato di un piccone che gli servì in alcuni tratti a scoprire il fondo della strada, ormai invasa dalla vegetazione, mostrandomi la lastricatura di origine romana, mi condusse ad attraversare il Cuccio sopra Maggione nella località indicata sulla carta del 1877 con nome di «Fornace». Mi spiegò che in quel luogo vi era uh ponte, poi distrutto dall'alluvione del 1911 e rifatto nel 1913 sul Saltone, più a valle. Passato il torrente, che in quel giorno aveva poca acqua ed era uindi facilmente transitabile, il Fontana, aprendo il passaggio lungo l'antica strada, mi fece guadagnar quota a sud-ovest lungo il fiume, sulla sponda destra e mi fece imboccare la valle un tempo detta dell'Osteria, dai m 416 s.m. della località Fornaci raggiungemmo il «Crocifisso», cappelletta sul versante sinistro del Rezzo a m 1047 di elevazione. Da qui, lungo l'antica strada, piuttosto pianeggiante, supera l'alpe Rancioli, giungemmo alla chiesa di Buggiolo a m 1035 s.m. Proseguendo verso Seghebbia, scendemmo al torrente Rezzo e, passata la poca acqua che sempre ha in quel suo corso iniziale, risalimmo alla bella prateria di Pramarzio, dove sorge una grande costruzione. Il Fontana mi spiegò che quella era una trattoria in cui sostavano i viandanti e, dato che erano presenti alcuni pastori, mi mostrò l'interno, chiaramente strutturato da antica osteria. Dopo una sosta, proseguimmo lungo il bellissimo percorso del Pralungo tra grossi faggi ad una elevazione attorno ai 1000 m e, superata l'alpe Riccola, raggiungemmo il Passo Stretto a quota 1102. Suggestivi sono in quei luoghi i pinnacoli dolomitici delle montagne che sovrastano. Al Passo stretto il Fontana mi mostrò l'antica lastricatura, certamente tipica romana, della strada. Ritornammo. L'anno stesso io andai in Valsolda e salii da là al Passo stretto. Due sono i possibili percorsi: uno che porta a Dasio, l'altro a Drano sboccando sulla strada di riva a San Mamette. Probabilmente il più frequentato era il secondo. Ritrovata la strada, cercai, sempre nel 1950, di individuare eventuali costruzioni di segnalazione. Mi parve di vedere tracce presso il Crocifisso sopra indicato, altre sopra il Pralungo, altre infine al Passo tra Cavargna e Buggiolo, ma alla fine dovetti persuadermi che le mie erano illusioni. Il recente studio su analoghe situazioni in Valtellina mi ha fatto comprendere che nel sistema segnaletico descritto solo il passo di san Lucio poteva avere un significato e che lo ebbe, tanto da entrare nella leggenda dei fratelli eremiti che discorrevano tra loro e con la sorella Margherita mediante fuochi notturni. Scriverò presto sull'argomento, illustrando il mutare nel correre dei secoli della mentalità con cui si affrontavano le azioni belliche e anche i movimenti interni delle fazioni e dei banditi, ai quali presero parte dal 1400 al 1600 gli antenati dei Cavargnoni di oggi, amici tanto interessati a conoscere il loro passato di miseria ed anche di aneliti a una vita migliore.